Turki claims that in the months before 9/11, his intelligence agency knew that something troubling was being planned. “In the summer of 2001, I took one of the warnings about something spectacular about to happen to the Americans, British, French and Arabs. We didn’t know where, but we knew that something was being brewed.”
“We had a very good relationship with Mohammed bin Nayef [the former crown prince],” Osama’s half-brother Ahmad tells me as a maid sets the nearby dinner table. “He let the wives and children return.” But while they have freedom of movement inside the city, they cannot leave the kingdom. theguardian
I passaggi che non negano le contraddizioni e le difficoltà del nuovo corso saudita, dimostrano che si può fare informazione anche quando un pezzo è in fondo concordato.
Chulov è uno di quelli che ben conosce il medio-oriente e lo sa raccontare.
L'idea che pare aleggiare dietro a queste interviste, presumibilmente ispirate dalla vecchia guardia che per il momento appoggia il principe ereditario in molte delle sue iniziative (Al Faisal-Bin Bandar) è quella di demolire il mito del terrorismo di stato. Cioè il concetto che ci fossero legami più o meno diretti tra Shaykh Osama e gli esecutori materiali del 9 11, così come risulta da un'inchiesta del congresso, e alcuni esponenti della famiglia reale saudita.
Smantellare questa teoria (in fondo opera legittima dal momento che piccoli finanziamenti e transazioni da soli non sono prova di connivenza) può servire attualmente alla monarchia, che ancora annaspa dietro alla charme offensive del Qatar, a ribadire la concretezza di Mohammed bin Salman il quale non perde occasione per dichiarare l'intenzione di voler costruire il futuro dell'Arabia Saudita attorno a quello che lui definisce il vero Islam scevro da violenza ed estremismi.
In attesa di definire i dettami giuridici che daranno luogo al cambiamento, passaggio cruciale in apparenza ancora rimandato, Sua Altezza cerca di rompere qualche ponte scomodo con il passato.
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