giovedì 2 agosto 2018

Quelli dell'isola d'oro

Ha il ritmo della spy-story l’indagine che ha svelato la centrale di spionaggio che sarebbe stata messa in campo da uno dei simboli dell’antimafia. Nelle scorse settimane, la procura di Caltanissetta ha convocato come testimone uno dei vice dell’Aisi: Valerio Blengini è stato chiamato in causa dall’ex questore di Caltanissetta, Bruno Megale; in una relazione di servizio ha raccontato che il suo vecchio amico passato ai servizi segreti gli avrebbe chiesto dell’inchiesta Montante, all’epoca riservatissima. Blengini ha offerto una sua spiegazione, ma sono rimaste ferme le accuse nei confronti di tutti gli indagati. repubblica

La relazione di servizio è un resoconto dettagliato, messo per iscritto, dell’operato di un funzionario di polizia (o anche di un poliziotto) che dopo aver ragguagliato oralmente i propri superiori sulle circostanze che l’hanno visto protagonista in aree che potremmo definire grigie, quindi non sottoposte a norme, leggi e protocolli, vuole in qualche modo cautelarsi contro l’eventualità che in epoche successive possa essergli mosso qualche appunto anche di natura giudiziaria.
Il documento, redatto e firmato, viene sottoposto all’attenzione del superiore in ambito locale, o anche nazionale qualora la sfera investigativa praticata dal funzionario sia strettamente collegata e dipendente dagli organismi nazionali (servizio centrale operativo, anticrimine) e questi, dopo averne preso atto, appone la propria firma.
In questo modo viene conservata a futura memoria una testimonianza ufficiale di quanto detto e fatto dal funzionario in circostanze investigative delicate.
Quanto più il livello criminale con il quale l’investigatore deve confrontarsi è elevato, tanto più questi può sperare di ottenere risultati ottimali solo addentrandosi nei suoi meandri approfonditamente. Il che comporta rischi di compromissione altrettanto elevati.
La relazione di servizio non è un documento ufficiale, ma ha una sua validità di cui magistrati e giudici tengono conto se necessario.
Al processo Potenza e altri, il dottor Gratteri e il dottor Caldarozzi, nonché il compianto capo della polizia prefetto Manganelli, confermarono l’autenticità delle relazioni di servizio in esame controfirmate da loro stessi e diedero conto in modo dettagliato delle circostanze nelle quali esse erano state redatte.
A testimonianza dell’enorme caratura professionale del dottor Pisani, probabilmente un unicum nella storia della polizia italiana almeno in quell’epoca, egli aveva addirittura creato un archivio di relazioni di servizio. Della sua esistenza erano informati i più stretti collaboratori alla squadra mobile.

Si è, in buona sostanza, alzata una "rete di protezione" nei confronti dell'ufficiale dell'Arma dei Carabinieri (e non solo) da parte degli ambienti in cui egli presta servizio (l'A.I.S.I.) che, muovendo da una davvero inaspettata rivelazione del segreto d'ufficio posta in essere da un funzionario dello SCO di Roma (Andrea Grassi) in favore di appartenenti a servizi d'informazione e sicurezza ed anche del suo massimo esponente dell'epoca (il generale Esposito) si è via via dispiegata attraverso un tortuoso canale rappresentato dal Senatore e già Presidente del Senato Renato Schifani e, quale longa manus di questi, da un avvocato e professore universitario palermitano (Angelo Cuva) sino a giungere proprio al D'Agata e alla di lui moglie.

Sarebbe interessante sapere, secondo magistrati e giudici, in che modo i servizi segreti dovrebbero andare a caccia d'informazioni.
Il motivo per il quale presumibilmente il dottor Megale ha annotato i dettagli dell'incontro con il dottor Blengini in una relazione di servizio redatta circa una settimana dopo, sta nella cautela necessaria a scongiurare l'eventualità che qualcuno potesse in futuro accusarlo di essere stato proprio lui a fare rivelazioni al funzionario piemontese che, nel corso del faccia a faccia a Firenze, gli spiegò di che cosa era a conoscenza a proposito dell'inchiesta e come aveva ottenuto quelle notizie.
L'aspetto bizzarro dello scenario che ha visto come protagonista l'attuale vicedirettore dell'Aisi, è che una persona capace e intelligente come lui possa aver pensato che il dottor Megale gli avrebbe svelato ulteriori dettagli sulla vicenda. Chiaramente un'agenzia d'intelligence che scopre presunti comportamenti contrari alla legge posti in essere da un suo appartenente, per di più ai vertici della stessa, ha bisogno di andare a fondo alla questione ma, anche se ci fosse stato un rapporto fraterno tra i due funzionari, era altamente improbabile che il Questore di Caltanissetta trovasse ragionevole infrangere la legge anche a fronte di serie motivazioni.
Ma sarebbero state veramente queste le implicazioni della richiesta del dottor Blengini ?
Per tale motivo, al di là del resoconto sommario contenuto nell'ordinanza, sarebbe importante conoscere i termini esatti (aveva cercato chiaramente di attingere) con cui si è espresso l'allora caporeparto dell'Aisi.
E anche, in quale momento l'autorità delegata venne informata sia della posizione nell'inchiesta del colonnello D'Agata, che dell'iniziativa presa da parte del generale Esposito di inviare un suo sottoposto in avanscoperta.
Allo stesso modo i vertici dell'Aisi avrebbero dovuto immaginare che il dottor Megale avrebbe informato i magistrati. Che è presumibilmente ciò che accadde, visto il tempo impiegato dal Questore (circa dieci giorni) per concedere l'occasione di un incontro al dottor Blengini.
In realtà alla fine il colloquio tra i due funzionari è servito alla magistratura a capire in che modo circolavano le informazioni. La data del 25 Gennaio ha fatto da spartiacque nel circolo di contatti e comunicazioni tra i personaggi dell'inchiesta che erano in attesa appunto dell'incontro. Altra stranezza relativa alla mossa di inviare il dottor Blengini in discovery, è stata infatti che questa fu utile agli inquirenti piuttosto che ai servizi segreti per i quali avrebbe potuto rivelarsi un clamoroso boomerang. Cosa in parte avvenuta.
Passaggio atipico è stato anche quello del ritorno in ufficio del dottor Cavacece che, dopo aver appreso per due volte alcune novità sulle indagini a carico di Montante, le avrebbe comunicate un pò a tutti. O meglio. Ai vertici dell'agenzia.
Logica vorrebbe che ne avesse dato comunicazione al direttore in modo che questi poi cercasse di approfondire con il colonnello D'Agata senza metterlo però al corrente delle circostanze esatte. Fatte le prime valutazioni, c'era da prendere in considerazione con attenzione la missione da assegnare al dottor Blengini per sfruttarne in maniera adeguata, stando attenti a non bruciarli per il futuro, i buoni rapporti con il dottor Megale.
Ma il fatto che il colonnello D'Agata in seconda istanza, apprende dell'indagine e delle intercettazioni anche dal professor Cuva, che ne sarebbe venuto a conoscenza in modo indiretto dal generale Esposito attraverso il senatore Schifani, fa pensare, prima che a una rete di protezione, a una gestione molto fluida e rilassata dei rapporti interni all'agenzia e anche di quelli con entità esterne. Il che avrebbe comunque reso inutile qualsiasi tentativo di sentire D'Agata sul punto senza rivelargli le circostanze rese note da Cavacece.
In tutto ciò il dottor Blengini appare come una specie d'intruso se non proprio un estraneo.
Il capo-reparto che ha eseguito il compito, legittimo e di verifica di un potenziale dolo arrecato all'ufficio da un suo appartenente, assegnato dal direttore dell'Aisi.
Quello che appare poco chiaro, posto che vi devono essere rapporti legittimi e consolidati nel tempo tra un'agenzia d'intelligence e un organismo ( a livello locale e nazionale) come Confindustria, è se questi rapporti fossero di tipo omogeneo e della stessa entità rispetto ai componenti dell'ufficio dell'Aisi. I vari Piccirillo, D'Agata, Esposito, Blasco che incontravano con regolarità il Montante.
Lo scenario rilevato dall'ordinanza pare un classico del nostro Paese.
Intrecci di conoscenze che costituiscono anche una sorta di centro per l'impiego di alta classe.
Dal senato al ministero dell'interno.
E' difficile stabilire con certezza se e quanto si sia andati oltre.
Ad un certo punto il colonnello D'Agata, che sembrerebbe avere un rapporto consolidato con Montante sin dai tempi dell'Arma, si accorge di una certa ostilità nei suoi confronti da parte del direttore e allo stesso tempo teme che nel corso delle perquisizioni siano stati trovati documenti compromettenti.
Ciò lascia intuire che ciascuno potrebbe avere amministrato  a modo suo il rapporto legittimo ed istituzionale con Confindustria chiudendo un occhio su quelli instaurati dai colleghi. Quando è successo il patatrac, ognuno ha cercato di mettervi riparo come meglio poteva. Si spiegherebbe così la comunicazione, tra il generale Esposito e il senatore Schifani, avvenuta in un momento decisamente poco opportuno.
Confermerebbe l'impressione di una gestione molto approssimativa e di tipo familiare dell'ufficio. Il che sgombra il campo da ombre inquietanti. Ma lascia molto perplessi su quel tipo di andamento che tra l'altro esponeva a rischi inutili come quello di un dialogo che il Montante avrebbe registrato nel corso di un pranzo con il colonnello D'Agata.
E' auspicabile che in epoca successiva questo modo di gestire ed organizzare l'ufficio sia cambiato.



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