martedì 3 maggio 2016

Scatole cinesi

Da oggi fino al 13 maggio prossimo periodo di massima affluenza in Italia da parte di turisti cinesi - poliziotti della repubblica Popolare della Cina coadiuveranno i colleghi italiani della Polizia di Stato e dei Carabinieri a Roma e Milano nelle attività istituzionali, nello scambio di informazioni rivolte all’assistenza dei turisti cinesi e facilitarne eventuali contatti con le autorità locali e rappresentanze diplomatiche.ministero interno

Qualche anno fa il governo cinese aveva in mente un progetto simile, e anche più articolato, da porre in essere assieme alla polizia francese. Poi il timore delle differenze normative e le difficoltà linguistiche fecero si che l’idea venisse accantonata. Un discorso ripreso con l’Italia che è un partner commerciale importante in quanto costituisce uno sbocco per smaltire i resti di un mercato interno che stenta ancora a decollare e soprattutto una base per acquisire aziende che boccheggiano. Si tratta di una strategia a lungo termine intrapresa dal nuovo corso politico e da inquadrare, così come hanno fatto i servizi di informazione svizzera che vi hanno dedicato grande spazio nella relazione appena uscita (al contrario dei nostri che si limitano a segnalare annualmente le infiltrazioni dei clan), in un’ottica di espansione aggressiva alla quale il comparto di sicurezza non può sottrarsi.
Sul fronte italiano è difficile credere a quanto affermato dal ministro Alfano e dal prefetto Pansa, e che cioè le intenzioni sarebbero quelle di sviluppare una iniziativa in embrione al momento dedicata ai turisti cinesi. Non si manda uno squadrone di carabinieri in Cina ad insegnare tra le altre cose la lingua italiana, ad un gruppetto di poliziotti cinesi che poi ricambieranno la visita per una gita di un paio di settimane. Evidentemente le infiltrazioni gangsteristiche sia tra le piccole attività commerciali che a livello imprenditoriale hanno raggiunto un grado così elevato da dover intensificare lo scambio informativo e da pensare ad una azione in loco di pattuglie di infiltrati. Un lavoro che, assieme a quello di pubbliche relazioni con le comunità interessate, sarebbe opportuno lasciare, così come per il terrorismo di matrice jihadista, a poliziotti di seconda generazione. Ma su questo versante il ministro non ha orecchio perché teme gli attacchi delle opposizioni (che hanno in queste ore comunque già sganciato i loro media all’attacco) e i vertici delle forze dell’ordine sanno che una iniziativa del genere scatenerebbe le ire dei sindacati di estrema destra e le scuole di formazione non sono ancora pronte ad accogliere un nutrito gruppo di "nuovi" italiani. Vi sono già diversi ragazzi arruolati nell’esercito e nella marina, ma un’assunzione mirata, così come accade nei Paesi all’avanguardia in materia, qui da noi provocherebbe uno sconvolgimento.
Si è preferito così andare a pescare in acque cinesi. Chissà come l’ha presa il generale Manenti che la leggenda vuole allergico almeno alle acquisizioni.

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