sabato 23 aprile 2016

Lo strano caso di Mario Ciancio Sanfilippo e l’insostenibile leggerezza del concorso esterno

C’è un giudice a Catania.
Si chiama Gaetana Bernabò Distefano e una sua sentenza di non luogo a procedere ha mandato su tutte le furie i protagonisti del grande circo dell’antimafia.
La deliberazione secondo la quale non si può procedere contro Mario Ciancio Sanfilippo, noto editore ed imprenditore catanese le cui attività ed interessi vanno ben oltre i confini siciliani, perché “il fatto non è previsto dalla legge come reato” , in realtà non vuole essere la negazione assoluta dell’esistenza del reato di concorso esterno né stabilisce “che la zona grigia dei cosiddetti colletti bianchi sia una zona neutra non passibile di controllo giurisdizionale”.
Basta leggersi il testo per esteso della sentenza.
Semplicemente richiama l’attenzione del legislatore sul fatto che il concorso esterno scaturisce da un combinato di due articoli del codice penale (110 e 416) che fissano in linea teorica dei limiti ben precisi entro i quali agiscono le figure dell’intraneus e dell’extraneus , ma per i quali sotto il profilo pratico spesso è difficile differenziare a seconda delle categorie a cui appartengono i soggetti imputati. Mentre per un giudice o un avvocato è relativamente semplice stabilire se egli sia organico all’associazione mafiosa o vi abbia prestato un contributo da esterno, è difficile operare una distinzione del genere nel caso di un imprenditore.
Un soggetto cioè, il cui scopo primario è realizzare il proprio profitto, utilizzando mezzi e persone a disposizione. E la vita, le frequentazioni, il modo con cui Mario Ciancio si è relazionato a certi ambienti della sua Sicilia per concludere affari, parrebbero proprio appartenere ad un limbo che sfugge alle norme e alle sentenze che hanno fatto storia in materia.
D’altra parte lo stesso pubblico ministero che si appresta a presentare ricorso in Cassazione, già nel 2012 era arrivato a conclusioni simili. Dopo cinque anni di indagini si era presentato dinanzi ad un altro giudice chiedendo l’archiviazione per l’imputato. Quarta archiviazione di fila richiesta dalla procura etnea dopo quelle dei fratelli Lombardo e del senatore Strano. Quarto rifiuto da parte del gip che invitava ad approfondire le indagini.
E così si è arrivati, nell’Aprile dello scorso anno, alla richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno. Richiesta rigettata dalla dottoressa Bernabò Distefano dopo aver analizzato i fatti presentati e il modo in cui sono stati indagati dalla procura nonchè la giurisprudenza di riferimento.

Affinchè un soggetto non stabilmente inserito nell’organizzazione mafiosa possa essere accusato di concorso esterno, bisogna provare che questi abbia nel tempo, o anche solo in determinate circostanze, dato un contributo causale in maniera consapevole e volontaria, al consolidamento e alle capacità operative del sodalizio criminale. Invece l’intraneus è inserito in modo stabile nell’organizzazione. Quello che in un certo senso ha spiazzato il giudice, è che il pubblico ministero ha preso in esame fatti e circostanze, indagini patrimoniali, testimonianze di pentiti e collaboratori, intercettazioni, in un arco temporale abbastanza esteso. Quindi aveva materiale sufficiente per una richiesta di rinvio a giudizio ma lo ha utilizzato in maniera tecnicamente errata. Con approfondimenti mirati, si sarebbe potuto orientare la richiesta verso l’associazione mafiosa piuttosto che a favore del concorso esterno per il quale tra l’altro vale come cardine di riferimento la sentenza Demitry del 1994. In buona sostanza, anche se non lo dichiara ma lo lascia intuire, il giudice Bernabò Distefano è stato praticamente costretto a dichiarare il non luogo a procedere. A fronte di un nutrito numero di anni preso in disamina e di abbondanti fatti e dichiarazioni, sono state presentate poche prove e riscontri.

In merito alla costruzione del centro commerciale Porte di Catania, è stato accertato che questo fu realizzato grazie ad una serie di passaggi di terreni appartenenti al Ciancio e acquistati da una società in cui lui e la moglie possedevano delle azioni. Sicuramente è stato facilitato dalla approvazione di una variante al piano regolatore attuata nel 2007 e nota è la vicinanza da sempre dell’imprenditore agli ambienti istituzionali locali. Ma la pubblica accusa non ha mai potuto provare che l’intera operazione si svolse come da schema indicato dai pentiti, ovvero attraverso la collaborazione di ambienti mafiosi contigui a quelli politici. Così come non è mai stato provato che la restituzione di oggetti di valore trafugati dalla sua villa avvenne grazie alla mediazione di esponenti del clan Santapaola. Né è mai stato dimostrato che l’intervista a Nitto Santapaola o la lettera del figlio pubblicate dal suo giornale, furono imposizioni del clan . Si trattava di semplici scelte editoriali esercitate nell’ambito della libertà di espressione. Il monopolio del panorama locale, anche a scapito di rivali altolocati come la Repubblica, non risulta essere stato conquistato se non per merito proprio. Massimo Ciancimino raccontò di aver accompagnato il padre ad una serie di riunioni che vedevano presenti oltre al Ciancio, anche Bernardo Provenzano, Santapaola e alcuni imprenditori siciliani. Vito Ciancimino si sarebbe espresso in termini elogiativi nei confronti dell’imprenditore catanese che sarebbe stato considerato un importante punto di riferimento per determinati ambienti mafiosi. Anche di tutto questo non vi è riscontro.
Nel 1986 un impiegato si rifiutò di pubblicare un necrologio richiesto dalla famiglia del commissario Montana nel quale si parlava di “disprezzo per la mafia e per i suoi anonimi sostenitori”. Secondo l’impiegato l’autorizzazione era stata negata dal direttore e in quel tipo di pubblicazione non era permesso indugiare in commenti.

Difficile ravvisare in maniera netta per questo ed altri episodi, le condizioni per contestare il concorso esterno. Tanto più che il pubblico ministero non ha mai elaborato una comunicazione di notizie di reato riassuntiva e conclusiva.
Forse converrebbe, più che strumentalizzare la sentenza del giudice per le indagini preliminari, raccogliere il suo invito ad ideare una norma specifica che comprenda le varie sfumature del reato.
E anche bisognerebbe fare in modo che personalità brillanti come Mario Ciancio Sanfilippo abbiano la possibilità di muoversi in un ambiente sano con minori rischi di incontro con personaggi ed ambienti pericolosi.
Sarebbe ora di dare un senso all’antimafia. Qualsiasi cosa essa sia.

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