mercoledì 10 dicembre 2014

Li mortà. The italian way.








Ai romani non piace sentirsi dire che nella loro città c’è la mafia. Invece, la mafia come l’ha creata Carminati c’è. E ha la capacità di prendere i soldi ai cittadini senzi che questi se ne accorgano.

La verità è che oggi c’è più da temere a Roma che a Palermo. Questa mafia è diversa da quella siciliana. È gommosa, quasi impossibile da riconoscere.
giornalettismo


Giorni fa pensavo, senza volermi paragonare ovviamente, che la mafia rappresenta per Lirio Abbate ciò che Pisani è per me.
Allo stesso modo in cui lui vede mafia dappertutto, ogni volta che leggo di qualche caso di poliziotto indagato o arrestato penso subito che sia innocente.
Purtroppo non è così. Non sempre almeno.

I giornalisti italiani sono uno spettacolo nello spettacolo.
Mentre sulla stampa mondiale nel tardo pomeriggio di ieri erano iniziati i dibattiti sul fatto che sarebbe arrivata l'ora di portare alla sbarra i torturatori e gli Inglesi si interrogavano sul livello di coinvolgimento del loro Paese, i nostri facevano un resoconto veloce dell'introduzione del rapporto Feinstein e puntavano il dito contro la Cia.
A tempo debito i Travaglio e i Bonini torneranno a prendersela con Pollari e Mancini.
Fazzo allora risponderà che sono stati gli unici a pagare.
Non mi pare che l'onorevole Fava abbia tuonato, ma per adesso gli torna comodo il protocollo farfalla.
Questo è l'approccio italiano. The italian way.

L'anno scorso mentre mi preparavo per la mia breve sortita catanese, mia madre mi raccomandò di stare attenta che in Sicilia ci stanno i mafiosi.
Mia madre ha ottant'anni per grazia di Dio.
Esce due volte a settimana per la messa e il parrucchiere, e se la passa davanti alla tivvù dalle sei di mattina a mezzanotte a guardare tutti i tiggì e i talk show.
Quelli di Berlusconi principalmente, che meno male che ci ha dato le televisioni dice lei.
Abituata a girare per il mondo lì per lì non feci caso alle sue parole.
Poi alla prima batosta in terra sicula, il tassinaro con la macchina d'ordinanza ma senza tassametro che mi estorse cinquanta euro per pochi chilometri, mi dissi "sapevo io".
Per me era il primo approccio con la mafia.
Come se i tassinari a Pescara fossero tutte anime pie.
Passeggiando per la piazzetta di Aci mi ritrovai a parlare con due ragazze che avevano il problema del numero chiuso a medicina.
Però, lo stesso problema che c'è da noi pensai.
E quando mi dissero che la mafia dava lavoro con contratto regolare, stipendio e ferie nelle grandi aziende, d'istinto pensai che me lo sarei preso un lavoro così.
Purchè fosse lavoro.
Quando il sangue non si vede, allora si pensa solo al proprio bene.
Insomma mi innamorai di quella terra che mi ricordava tanto l'Oman e me ne andai sperando di rivederla un giorno.
E non riuscivo a capire perchè non avevo incontrato la mafia di Santoro.
Troppo poco tempo forse.

Ieri sera Giulianone sudava e s'agitava per spiegarci la differenza tra mafia e piccola criminalità.
Secondo lui lo snodo era la pompa di benzina.
Non è punto di incontro da mafiosi veri.
E i morti pure.
Ora per quello che può essere credibile un Ferrara giornalista, bisogna dare atto che ha inquadrato il problema.
Ci hanno insegnato che la mafia è una montagna di merda, che è ricotta e cicoria, che è sangue e bibbia.
Cioè non ci hanno insegnato a distinguere tra il piano giudiziario e quello sociale.
Che è fondamentale perchè se un fenomeno non lo si mette a fuoco per bene, non si riesce nemmeno a sconfiggerlo.

Pignatone e Prestipino con Cortese sono stati chiamati a Roma per realizzare quello in cui molti hanno fallito : stroncare mafia, camorra e ndrangheta.
Ora sembra che mafia capitale sia la prima inchiesta che ha scoperchiato un certo tipo di malaffare ma ce ne sono state parecchie negli anni scorsi e per nessuna o quasi (vado a memoria) è stato accettato lo stampo mafioso che è la chiave per dare una stangata a certe organizzazioni criminali.
Se a livello giudiziario è mafia, che mafia sia.
Però il punto è un altro.
Disse Manganelli buonanima il giorno dell'inaugurazione del commissariato a Castelvetrano, che ormai la mafia era sconfitta. Almeno il periodo stragista sembrava lontano.
Che stava ai cittadini sconfiggere la cultura, la mentalità mafiosa.
E allora dobbiamo distinguere tra mafia e mafia o tra mafia e altro.

Ai cittadini romani o nel resto d'Italia, la parola mafia non piace perchè non si riconosce in certi modi che vengono associati alla mafiosità.
Non è la nostra cultura.
E forse abbiamo anche ragione.
Serve davvero l'etichetta di mafiosi per darci una scossa?
Le considerazioni di Abbate sulle differenze tra Messina Denaro e Carminati sono importanti come approfondimento.
Rischiano però di mandarci in confusione.
Rimaniamo terra terra e diciamo che nella vita bisogna essere onesti senza paura delle conseguenze.

Mi piacerebbe assistere ad una battaglia Abbate-Cappellani a colpi di arancini.
Chissà chi vincerebbe questo derby siculo.



Foto dalla pagina Facebook di Lirio Abbate 


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