lunedì 13 novembre 2017

Fi amal

Hariri’s career was built on the backing of Gulf states, the deployment of his family fortune - spending large amounts of it in Lebanon to finance a media network and charitable gifts to secure widespread support - and feelings of respect among many Lebanese for his late father.
reuters
Foto SPA

La cosa strana è appunto questa.
Hariri non solo è da sempre tenuto in piedi dalle monarchie del Golfo. E' un profondo conoscitore delle dinamiche della regione e si è sempre confrontato con i complessi meandri della casata saudita.
Anche lui come Tamim, sembrerebbe non aver messo in conto che si stava avvicinando un ciclone. E che il problema non era tanto la belligeranza di Mohammed bin Salman, ma l'inesperienza e la voglia di rinnovamento.
Ai tempi di Saud al Faisal la rivalità con l'Iran sarebbe stata sfruttata in altro modo. Di certo non si sarebbe tentato l'azzardo di ridisegnare un governo o di fare pressioni attraverso Hariri. Nel momento in cui Mohammed bin Salman ha iniziato a costruire il proprio circolo di fiducia, si è privato di consiglieri importanti che gli avrebbero indicato che la mossa sul Libano era pericolosa oltre che inutile.
A dispetto di varie controversie, rappresentate da ministri che vanno a trovare Assad ad insaputa dell'esecutivo o da un ministro degli esteri che minaccia di sterminare i profughi, alla fine il governo libanese si regge proprio sulle differenze e sulla volontà di ignorarle per il bene della nazione. La fuoriuscita di un protagonista importante come Saad Hariri non cambia nulla.
Non sono le pedine a fare la differenza. Piuttosto è la formula che conta.
Le controversie servono per fare campagna elettorale. I punti in comune sostengono il Paese.
Ovviamente non è una soluzione semplice da implementare ma è la migliore di cui il Libano può disporre al momento. Il Libano e i suoi sostenitori.
Se Saad lo avesse spiegato a Mohammed bin Salman, si sarebbe risparmiato l'ansia di questi giorni.

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