“Come già avvenuto negli attentati di Boston, al Bataclan o in Belgio, non sarebbe la prima volta che si sviluppano cellule jihadiste su base familistica”.
Generale Pasquale Angelosanto
The U.S. government is killing our innocent civilians
I can't stand to see such evil go unpunished
We Muslims are one body, you hurt one, you hurt us all
Fuck America
Dzhokhar Tsarnaev
La dimensione familistica che ha portato i fratelli Tsarnaev verso la radicalizzazione prima, e a diventare terroristi in seguito, sta tutta nella storia travagliata del Caucaso. Una storia fatta di guerre e persecuzioni nella quale s’intrecciano religioni ed etnie.
Le origini daghestane della mamma di Tamerlan e Dzhokar non erano per niente gradite alla famiglia del futuro marito, il quale si avviò verso l’ennesima meta costituita dal Kirgystan. Nel loro peregrinare, gli Tsarnaev si portavano sempre dietro tutto il calore e le tradizioni tipiche del Caucaso che permisero ai ragazzi di vivere serenamente e integrarsi anche dopo l’approdo americano avvenuto in seguito alla cacciata in massa dei Ceceni dal Paese dove avevano trascorso l’infanzia.
L’incanto si ruppe quando sia Tamerlan che Dzhokar si resero conto del fatto che i successi a scuola e nello sport, il tempo spensierato passato assieme ai compagni e i primi amori, non riuscivano a colmare quel vuoto identitario che li accompagnava da sempre nella loro vita da gitani.
L’Islam radicale e la sua dimensione politica, che la mamma passata nel frattempo dai tacchi a spillo al velo e in crisi con il marito, e Tamerlan proposero a Dzhokar, riuscirono a colmare quel vuoto. A fargli trovare il colpevole per il disagio che lo attanagliava e lo aveva portato a isolarsi. L’America che con le sue guerre senza fine prendeva spesso di mira i musulmani. La retorica di Dzhokar è mutuata dai corollari semplicistici elaborati da quell’Anwar al Awlaki che come lui passò da modello d’integrazione a case study per investigatori e accademici.
La dimensione familistica delle seconde generazioni europee è indotta dal ghetto o anche solo dai cenacoli virtuali in cui si riuniscono assieme ai convertiti. Li tiene assieme una storia fatta spesso di piccola delinquenza e di malessere nei confronti di una società che a malapena li tollera. Il califfato, che li accoglie da foreign fighters o li incita a compiere attentati, è la culla che manca loro sin dalla nascita. E’ vero che l’attuale fenomeno legato a Daesh, ha esaltato l’adesione d’interi nuclei familiari, ma allo stesso tempo li ha divisi. Le manifestazioni di estremismo da parte di questi ragazzi sono un atto di accusa e ribellione contro i governi dei Paesi dove sono nati o sono arrivati sin da piccoli, ma anche contro i loro padri e le loro madri che si sono adattati a una vita di stenti e compromessi rinunciando alle proprie tradizioni.
Se dal punto di vista investigativo viene naturale puntare il dito contro l’Islam o un certo tipo di Islam quando si è alla ricerca del colpevole, nel complesso è la dimensione socio-politica del fenomeno che bisogna sottoporre ad attento scrutinio per cercare cause e soluzioni. Ma non bisogna cadere nel tranello di aspettarsi risposte univoche o semplici. Altrimenti si finisce per giocare nello stesso ruolo di Al Awlaki anche se nel campo opposto.
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