venerdì 3 febbraio 2017

Per questo motivo

Ritengo, inoltre, necessario riferire che il vertice del Dipartimento della pubblica sicurezza ha preso cognizione dell'esistenza dell'indagine stessa solo nell'imminenza dell'esecuzione dell'arresto dei fratelli Occhionero, avvenuto, come già ricordato, il 9 gennaio, mentre la prima disclosure dell'indagine era avvenuta il 5 ottobre 2016, per effetto delle perquisizioni domiciliari.   
Tale ritardo ha concretizzato, da parte del funzionario responsabile – che ricordo non rivestiva alcuna qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria –, un comportamento non coerente con gli obblighi di comunicazione alla scala gerarchica delle notizie relative alle informative di reato e ai successivi sviluppi investigativi e, contemporaneamente, non ha consentito di avviare una tempestiva ed assolutamente doverosa attività di protezione dei dati dei soggetti istituzionali bersaglio delle attività di intrusione.   Per questo motivo, il 10 gennaio scorso, il capo della polizia ha trasferito il direttore del servizio polizia postale e delle comunicazioni ad altro incarico, nell'ambito del Dipartimento della pubblica sicurezza. Marco Minniti

A me pare che anche il resoconto del ministro sia esagerato.
Ha parlato di vicenda grave in relazione ad alcuni accessi o tentativi mal riusciti verso indirizzi di posta che presumibilmente venivano anche poco usati. La collaborazione con l'Fbi è consistita in quel tipo di supporto tecnico-burocratico necessario per acquisire dati da un Paese straniero.
I paroloni usati per descrivere l'azione del malware possono spaventare ma il problema è accertare quanto e cosa esso abbia carpito. Se non conosciamo perimetro di attività ed interessi degli indagati è inutile anche discuterne.

Come ha giustamente osservato l'onorevole Romano, non siamo in presenza di un caso di cyber spionaggio.  A questo punto però, bisogna scindere l'inchiesta dal clamore mediatico provocato.
L'indagine ha messo in evidenza quanto conoscevamo o sospettavamo.
Le istituzioni, allo stesso modo dei normali cittadini, soffrono di bassa cultura digitale ma anche di molto pressappochismo.
C'era bisogno che il dottor Di Legami riferisse dell'indagine affinchè i dati del presidente del consiglio o quelli del vicedirettore dell'Aise e di altri personaggi venissero messi in sicurezza ?
E qui entra in gioco il clamore mediatico.
Per esperienza con altre vicende seguite, non darei per scontato che l'esagerazione della stampa sia dovuta prevalentemente alla poca conoscenza della materia in questione.
Le conseguenze pratiche dell'episodio montato sui media, sono che si ritornerà a mettere mano alle norme e ai fondi da assegnare e poco si è discusso delle presunte manchevolezze degli apparati di sicurezza. Chi si è dato da fare per montare un caso di cyber spionaggio sulla stampa puntava proprio in quella direzione.

Stando alla versione ufficiale il direttore della polizia delle comunicazioni ha disatteso una norma e quindi è stato punito come il capo della polizia ha ritenuto in base alle regole .
E' paradossale comunque, che l'intera vicenda sia stata trasformata in qualcosa che presumibilmente non è, per coprire altre colpe e il malfunzionamento di un intero sistema .
E Roberto Di Legami, che è persona di elevata caratura sotto il profilo umano e professionale, era quello che più di tutti si era speso non solo per mettere in guardia dai pericoli, ma per chiedere interventi concreti e immediati.
Una parodia nella parodia.

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