mercoledì 18 maggio 2016

Lo scontro decisivo

Il dottor Galzerano non si considera in guerra perchè sa che nel momento in cui lo fa, l'ha già persa. Un investigatore non è un generale nè un filosofo. Tutto quello che gli si chiede è di mettere in sicurezza un territorio e la sua gente.
Non c'è bisogno di elaborare schemi particolari o teorie complicate per fare ciò. Bisogna far correre il cervello. Anticipare le mosse dell'avversario. Come in una partita di tennis.
Non è una battaglia a colpi di machete. Ci può scappare il morto certo. Anzi parecchi. E' parte del gioco. Magari all'investigatore s'intenerisce anche il cuore a pensare al ragazzetto morto in Siria . Ma quel dolore deve tenerselo per se. Non fa parte del gioco. Poco interessa.
E comunque il cuore va preservato per questioni importanti.


Al contrario il soggetto intervistato a patto che non venisse resa pubblica la propria identità, è in guerra con il mondo intero e con se stesso. Con l'Islam soprattutto. Non tanto con il terrorismo.
Quando parla dei nostri valori, le nostre leggi, i nostri principi, chiaramente nel suo piccolo universo non sono inclusi i "musulmani buoni". La sindrome della sottomissione non è riferita solo all'estremismo. Difficile credergli quando afferma che vuole combattere rispettando i principi della Costituzione.
Mente sapendo di mentire.
Probabilmente si tratta di un ufficiale dei carabinieri o di un analista militare. Certamente uno che ha una vasta conoscenza del fenomeno inquadrato nel suo contesto storico. Ma è guidato da una impostazione estremamente rigida. Un certo grado di flessibilità è di fondamentale importanza per confrontarsi con certe vicende. Un pò per rimanere vivi e sani di mente, ma soprattutto per adattarsi ai cambiamenti del nemico.

Sbaglia nel definirlo scontro decisivo, quasi ad intendere che prima o poi si risolverà.
Questa guerra è qui per rimanere a lungo. E poi ce ne sarà un'altra ancora. Il medio-oriente e gli arabi, che in fondo sono l'anima di questo ed altri conflitti, hanno bisogno di un fantasma da combattere per sopravvivere. E noi dietro a loro.
Sbaglia anche quando afferma che non conosciamo i vari Jihadi John che si trovano qua e là per il globo . Di al Awlaki si poteva dire che eravamo in svantaggio perchè lui conosceva noi, ma noi non conoscevamo tutte le sue anime. Adesso li conosciamo bene perchè sono tra noi e da parecchio. Anzi. In loro c'è una parte di noi. La peggiore. Tutto sta nel riconoscerli per tempo.
Ma da un punto di vista strettamente militare, non sono loro il vero pericolo. Sono sempre i ceceni, i somali, gli afghani. Quelli che uccidono per davvero. I Jihadi John servono a fare i video e poi a morire sotto ai nostri droni.
Se non si è in grado di fare questo ed altri ragionamenti o analisi, e soprattutto di giocare mettendo da parte l'ascia di guerra, allora è meglio andarsene a casa a guardarsi i vecchi film di John Wayne. Serve gente obiettiva oltre che capace, per giocare questa partita.
Per gli altri non c'è spazio.

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