mercoledì 4 novembre 2015

Game over (lacrime sprecate)

Pianse, quella mattina d’inizio estate, anno 2011. Lacrime di rabbia, nel chiuso del suo ufficio dove per sette anni aveva guidato la squadra mobile di Napoli, il banco di prova più complicato per un poliziotto in carriera. Poi, smaltito lo choc iniziale, scrisse una lettera ai suoi uomini, anzi, un ordine di servizio, l’ultimo comando di Vittorio Pisani: «Continuate a lavorare come avete sempre fatto, al servizio con la Procura della Repubblica di Napoli. Il vostro capo». Oggi, a distanza di quattro anni da quella mattinata in cui lesse il divieto di dimora a Napoli, il primo dirigente Vittorio Pisani ha la certezza che quella storia è finita. Passata: destinta agli archivi, impossibile da rivisitare o da riproporre da un punto di vista investigativo.ilmattino

L'unica cosa che si può rimproverare a Pisani e ai dirigenti di alto livello come lui è che loro che hanno il potere in mano non fanno nulla per cambiare lo stato di cose che poi alla fine porta a vicende giudiziarie simili.
Il processo di Napoli è stato un concentrato dei malesseri che affliggono il panorama investigativo e giudiziario italiano. L'uso sbagliato dei pentiti, le piccole invidie e rivalità, normative e procedure sbagliate o mancanti.
A oggi la sicurezza serve a garantire al ministro la possibilità di tweettare, a far guadagnare le aziende che collaborano con le forze dell'ordine e a mettere in onda una fiction acchiappavoti.
E' inutile piangerci sopra se non si prova a cambiare questo stato di cose.

Da un punto di vista tecnico e con l'autorevolezza che non possiedo, il rimprovero da muovere alla pubblica accusa è l'aver puntato tutto sul contorno e sulle atmosfere.
Ovvero su quella parte di testimonianze che non erano strettamente attinenti ai capi d'accusa ma che contribuivano a rafforzare l'impressione del grosso intrigo con al centro il superpoliziotto doppiogiochista. I fatti erano pochi.
Magari come ribadito dai pubblici ministeri nel corso della requisitoria finale, loro erano ben consci delle insidie legate a testimonianze come quella di Lo Russo. E quindi non le hanno mai prese come oro colato.
Però se ne sono serviti lo stesso. Un boomerang che ha piuttosto aiutato la difesa a dimostrare come l'indagine alla fine avesse pochi punti validi.
Un ricorso in cassazione avrebbe potuto costituire uno snodo importante per l'eventuale riapertura di un'altra inchiesta. Ma non ce n'erano proprio i presupposti.

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