lunedì 9 novembre 2015

Accountability

Contrariamente a quanto accadeva di solito per i dissidenti in territorio estero per i quali Ghaddafi si serviva di sicari locali come raccontato dal pentito di 'ndrangheta Morabito, nel caso di Abdel Hakim Belhadj questi fu prelevato a Bangkok nel 2004 assieme alla moglie e rimpatriato per essere torturato. L'operazione venne portata a termine dalla Cia e dall'MI6 come testimoniano alcune carte dell'archivio del leader libico ma non si esclude che possano aver partecipato altre agenzie di intelligence. E anche in questo caso, come in quello di Yunus Rahmatullah pakistano catturato dai soldati britannici in Iraq nel 2004 e torturato a Camp Nama e ad Abu Ghraib per poi essere ceduto agli americani che lo trasferirono e torturarono a Baghram in Afghanistan (nessuna accusa, nessun processo. Liberato nel 2014), i funzionari dei servizi segreti avrebbero assistito o partecipato alle torture.
La corte suprema, dopo aver ascoltato le parti, dovrà decidere se Jack Straw e Sir Mark Allen, allora rispettivamente ministro degli esteri e funzionario responsabile dell'antiterrorismo, nonchè i ministeri coinvolti e le agenzie di intelligence, debbano rispondere di quelle torture in un aula di tribunale.
La contesa è sull'applicazione della dottrina della immunità concessa agli stati esteri . E ovviamente sul segreto di stato.
Oltre alla Cia la rendition di Belhadj avrebbe avuto come protagonisti i funzionari di Tailandia, Cina e Malesia. Prima di arrivare in Libia gli fecero fare un bel giretto che ebbe come penultimo punto d'approdo l'Inghilterra. Secondo la sentenza della corte d'appello una indagine e il relativo processo non  violerebbero la norma.
La corte suprema è chiamata a decidere sul punto al termine dei quattro giorni di udienza.
Una sentenza in favore del processo più che danneggiare i rapporti con gli americani servirebbero da stimolo ad Obama per chiudere definitivamente il capitolo rendition in maniera seria.
Lo stesso potrebbe accadere in Europa. Effetto domino.


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