domenica 27 settembre 2015

La lunga strada che porta al metal detector

Esiste chiaramente tutta un'attivita' tesa a fare propaganda e lo fanno con mezzi particolarmente efficaci, lo fanno - e mi riferisco a Islamic State o Daesh - in maniera molto piu' raffinata di quanto facessero in altri tempi. Noi assistiamo a dei prodotti televisivi brillanti rispetto a dei polpettoni di altri tempi, che duravano ore e ore ed erano propaganda invedibile. Poi c'e' la radicalizzazione cioe' l'idea che, come un appassionato di bottiglie di vino antiche va a cercare l'oggetto della propria passione sul sito si documenta, cosi' chi e' piu' facilmente radicalizzabile trova sul sito oggetti, prodotti specifici.

Abbiamo purtroppo a che fare con una galassia terroristica dispersa non necessariamente fatta di gruppi organizzati, talvolta fatta di singoli esaltati o di singoli radicalizzati o di semplici imitatori. Da questo punto di vista e' la prevenzione che serve, perche' quando il malintenzionato e' arrivato al metal-detector e' gia' troppo tardi.

Giampiero Massolo Assisi 25 settembre 2015


La radicalizzazione sul web è composta da due fasi e prevede inizialmente un intervento incessante che si serve di materiale audio-video impostato sulla demolizione delle poche certezze che compongono la vita dell'individuo. La famiglia, la comunità alla quale appartiene, il mondo occidentale.
La fase di indottrinamento vera e propria della potenziale recluta o attentatore è identica al processo di grooming messo in atto dal pedofilo. Il predicatore o il combattente che gode di un'ampia audience sulle varie piattaforme social tende a disarticolare il soggetto dal suo mondo per proiettarlo in quello di Daesh.
In un momento successivo, quando cioè la vittima ha ormai assorbito il messaggio, è sufficiente che sia loggato su Twitter o Ask.fm o anche su Kik, il messenger che gli permette un contatto diretto con il suo mentore e carnefice, per cogliere al volo l'appello che gli viene lanciato.
I soggetti a rischio non sono tanto quelli che abbracciano una interpretazione radicale del Corano e della Sunna quanto quelli che hanno un rapporto difficile con le famiglie o vivono una serie di disagi. Le seconde generazioni e i convertiti sono di certo i protagonisti per eccellenza di questo meccanismo perverso ma rappresentano solo una piccola frazione della galassia in cui Daesh si muove con facilità.
I racconti dei genitori che hanno testimoniato al processo contro Bilal Bosnic in questo senso sono illuminanti. Il predicatore bosniaco ha mandato a morire in Siria dei ragazzini approfittandosi della loro debolezza mentale. Della loro povertà e dell'ignoranza alla quale erano soggetti.

Risulta facile comprendere come la fase più delicata dell'intero processo di radicalizzazione e sulla quale si può intervenire efficacemente in maniera preventiva è quella iniziale del martellamento.
Quando il ragazzo o anche un adulto inizia a muoversi in rete e fuori alla ricerca di un obiettivo da colpire o di una pentola a pressione da acquistare è già troppo tardi.
E' a questo che serve l'apporto  dell'Ambasciatore Massolo che è uomo intelligente e capace ma soprattutto influente. A bloccare o almeno a contenere gli effetti del grooming.
E' suo dovere farsi interprete presso il governo delle esigenze di quella parte di popolazione che è la prima vittima della propaganda di Daesh. Dei giovani come Meriem al Rehaily, fino a due anni fa in apparenza serena ed inserita, si deve avere cura allo stesso modo in cui ci si preoccupa di quelli a cui si fa lezione sulle insidie del web.
Un'azione coordinata tra scuola, comunità islamiche, forze dell'ordine ed intelligence e basata su prevenzione, educazione e riabilitazione,  è necessaria a ridurre il rischio di radicalizzazione e soprattutto ad alleggerire gli inquirenti da un carico investigativo eccessivo che alla fine è anche una perdita di tempo perchè i soggetti monitorati e non, riescono a fuggire verso il medio-oriente o non entrano nemmeno in azione ma rimangono motivo di preoccupazione.

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