Forse a sottolineare la valenza ormai quasi semplicemente simbolica del processo Telecom, coincidenza ha voluto che l'appello (la parte per la quale è chiamato in causa direttamente l'ex presidente) iniziasse un anno dopo la morte di Emanuele Insinna che era a capo della security del colosso industriale.
Ci sono stati molti lanci di agenzia ieri che riferivano della volontà di Marco Tronchetti Provera di non sottrarsi al giudizio benchè ne avesse facoltà potendosi avvalere della prescrizione ma sono seguiti pochi commenti.
Giusto un paio di annotazioni giornalistiche scontate sulla stranezza di un gesto quasi eroico e a tratti inutile.
E' sembrato piuttosto l'ennesimo tentativo da parte di Tronchetti Provera di lasciare una impronta nella storia,e non solo industriale, italiana. Un qualcosa che sembra non essere nelle sue corde.
O forse era un atto dovuto all'indomani dell'accordo con i cinesi che lo lascia comunque in vetta ancora per qualche tempo.
Una dimostrazione dell'etica italiana dei bei tempi che furono.
E' difficile stabilire dove stia la verità nell'affaire Telecom.
Nel caso specifico della vicenda legata al cd della Kroll pare comunque logico credere a Giuliano Tavaroli e agli altri che sostengono che il presidente fu messo al corrente dell'hackeraggio.
C'erano in ballo interessi molto grandi ma anche rischi altrettanto onerosi.
Non avrebbe avuto senso agire dietro alle spalle di quel Tronchetti Provera che pare infastidito dalla fama di cenerentola smarrita eppure se ne serve quando gli torna comodo.
Al di là del filone giudiziario principale quello che ha interessato mezza Italia sono state le vicende accessorie se così possiamo definirle.
Ma il vero centro dell'attenzione è sempre stato Tavaroli.
Le sue verità, la carriera, le amicizie, le ambizioni.
Quello che ci è sfuggito è che in fondo il problema non è se abbia raccontato o meno la verità, ma il fatto che ci abbia detto almeno una parte di verità. Quella che era funzionale alla sua difesa.
Un pò come fa oggi sui social quando attraverso lo sharing mostra a noi estimatori che lo seguiamo, i suoi interessi.
Le passioni sportive, la famiglia, le attività. Mostra quello che vuole. Nè più nè meno.
Allo stesso modo del suo gemello romagnolo lascia intuire quella personalità tanto affascinante quanto inquietante che lo caratterizza.
Dice e fa la cosa giusta al momento giusto.
Più che la vicenda giudiziaria, del pasticcio Telecom rimarranno gli intrecci.
A Giuliano Tavaroli va ascritto il merito, e probabilmente lo avrebbe fatto anche senza il processo, di avere aperto una finestra su un'Italia che non conoscevamo.
Su un sistema e dei personaggi che pensavamo appartenere a realtà lontane da noi come quelle anglosassoni.
Su dei meccanismi che oggi forse non ci sono più o si sono trasformati.
La galassia Telecom ci ha fornito gli anticorpi per combattere le insidie che provengono da fronti improbabili.
Se oggi leviamo gli scudi su Twitter quando lo Stato vuole ficcarci un software spia nel computer pur non essendoci i presupposti legali, è perchè abbiamo coscienza di quello che avveniva in epoche non troppo passate.
E questo lo dobbiamo anche alle mezze verità di Giuliano Tavaroli.

Nessun commento:
Posta un commento