mercoledì 29 aprile 2015

Quelli che la sindrome di Abu Omar

Io quello che non riesco a capire della signora Villecco è a che gioco stia giocando.
Abbiamo capito dalle parole del generale Pollari che nel suo passato c’è un periodo trascorso ai servizi quindi ciò le darebbe una qualche legittimità all’interno del Copasir.
Per un verso però sembra limitarsi ad apprezzare ed applaudire con entusiasmo qualsiasi iniziativa venga portata a termine dai nostri 007. D’altro canto stando ai resoconti giornalistici di alcuni suoi interventi su cartaceo e per via orale pare impegnata a lanciare frecce avvelenate contro alcuni esponenti attivi e non dell’agenzia il cui operato sarebbe stato a dir poco opaco.
Questo atteggiamento all'apparenza ambiguo e poco coraggioso non giova ai servizi né al bene del Paese così come non giova il clima di eccessivo volemose bene.
Farsi qualche domanda su come abbia operato l’Aise nel gestire la vicenda Lo Porto non significa necessariamente puntare il dito contro il direttore e i suoi sottoposti o anche sollevare dubbi sulla legalità delle procedure seguite.
Non siamo in piena bufera Abu Omar. Non più.
Bisogna uscire dal circolo vizioso che fa passare la soluzione dei problemi sempre e solo attraverso la magistratura. Bisogna chiedersi se le metodiche che siamo soliti seguire e i rapporti che legano la nostra agenzia alle altre e il governo italiano a quello americano non debbano essere rivisti in maniera radicale.
E questo è di possibile realizzazione solo se esaminiamo nel dettaglio le tappe della vicenda Lo Porto e come i nostri servizi si sono rapportati a quelli americani e pachistani.
Altrimenti l’unica strada percorribile rimane quella dell’indagine giudiziaria che non approderebbe a nulla perché difficilmente porteremmo in aula D’Andrea, Brennan ed Obama.
Però se la politica non sa andare al di là delle inchiestine del Copasir e degli scaricabarile contro l’America e Renzi, allora non si può che fare affidamento sul solito ed inutile processo ai fantasmi.

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