domenica 15 marzo 2015

Il non paper del mediterraneo

La scelta, sottolinea Pisani, è politica, ma se si scegliesse la mera tutela delle frontiere, l’operazione da fare sarebbe semplice come il gesto di lavarsi le mani: “Sembra paradossale dirlo, ma forse per il contrasto all’immigrazione non ci vorrebbe nessuna barca in mare, perché purtroppo per il principio di non respingimento della Corte di Giustizia Europea, non possiamo rimandare i barconi che arrivano dal Nord Africa verso i paesi di partenza. Nel momento in cui si incrementano i dispositivi di pattugliamento a mare si ha una possibilità diversa: quella umanitaria, di raccogliere più migranti possibile. Ipoteticamente per il contrasto dell’immigrazione clandestina sarebbe meglio non mettere dispositivi di pattugliamento in mare, così i migranti dovrebbero arrivare con barche che abbiano la capacità di raggiungere le coste italiane”.
andrea scutellà il tirreno

L'aspetto più interessante della proposta, comunque, sta nel fatto che le eventuali navi tunisine che raccogliessero i migranti clandestini, li sbarcherebbero in Tunisia, nel rispetto del principio del luogo sicuro più vicino, previsto dalla Legge del Mare. A terra, i rappresentanti degli Stati membri dell'Ue e delle due agenzie Onu dei rifugiati (Unhcr) e dei dei migranti (Iom) assisterebbero le autorità tunisine fornendo la loro "expertise" nel campo della "gestione dei flussi migratori, delle procedure internazionali di protezione, dell'assistenza alle persone vulnerabili e del ritorno dei migranti irregolari ai loro paesi d'origine". Naturalmente, dovrebbero esserci anche garanzie che i migranti, di qualunque nazionalità, non subiscano maltrattamenti o persecuzioni in Tunisia, e che sia rispettato il principio di "non respingimento" previsto dalle norme Ue e internazionali, ossia il divieto di deportare i migranti nei paesi di transito o di origine che non rispettino i diritti umani e dove sarebbe a rischio la loro vita e la loro integrità fisica.
askanews


Abdul Raouf Kara guida un piccolo esercito di circa mille uomini di stanza all’aeroporto Mitiga, lo stesso all’interno del quale i nostri funzionari avrebbero negoziato la liberazione dell’ingegner Vallisa.
Kara si definisce salafita ma non jihadista e a sottolineare questa differenza, condanna i metodi violenti delle altre milizie che vengono in supporto dei due governi libici.
Il suo sogno era quello di vivere in una libia libera da Ghaddafi e dalle ingiustizie.
Il primo obiettivo è stato realizzato. In attesa del secondo il giovane comandante, che si dice pronto a tornare al suo lavoro di fabbro quando le condizioni lo permetteranno, si dà da fare a seconda delle richieste.
Tra queste vi è anche l’organizzazione dei viaggi della speranza verso le nostre coste.
Il principio ispiratore di Triton, come espresso in maniera forse un po’ tecnica dal dottor Pisani e quindi recepita come cinica dal cronista, era proprio quello di scoraggiare l’azione di gente del calibro di Kara.
La riduzione del raggio d’azione delle nostre forze militari avrebbe dovuto avere come conseguenza un calo delle partenze . Speranza vana visto che abbiamo a che fare con gente tanto disperata quanto determinata.

La proposta del ministro Alfano carica di buona volontà e tesa a responsabilizzare le nazioni interessate, è al pari di Triton un'altra mezza misura.

Il prefetto Pansa nel corso di una indagine conoscitiva dinanzi al comitato Schengen qualche settimana fa, si è detto speranzoso che il budget garantito per l'operazione attuale di controllo (circa 1/3 in confronto a mare nostrum) verrà aumentato e che Frontex che la amministra, uscirà finalmente da una fase di gestione meramente burocratica per orientarsi verso una più operativa, motivi per i quali il lavoro dei nostri militari e delle forze dell'ordine che vi partecipano dovrebbe essere reso più agevole.

Giova ricordare a questo proposito che la scelta politica di cui ha parlato il direttore reggente dell'ufficio immigrazione, è stata in parte determinata dalle pressioni ricevute dal ministero della difesa sul quale gravano per la maggior parte questo tipo di operazioni, da esigenze finanziarie e sotto la spinta anche della compagine di opposizione di destra.
Spinta che ha caratterizzato anche la risposta negativa ricevuta dal nostro primo ministro a Bruxelles circa il coinvolgimento di un pò tutte le nazioni europee.
Il no netto dell'Inghilterra è stato dettato dalla necessità di respingere le critiche feroci dei movimenti politici che fanno delle operazioni umanitarie una bandiera per le prossime elezioni ormai alle porte.
Insomma Renzi con Triton ha portato a casa una mezza vittoria o sconfitta a seconda di come la si voglia vedere.

L'approccio per risolvere il problema deve essere di tipo globale.
Se da un lato bisogna lavorare ad una soluzione per appianare almeno la crisi libica, sull'altro versante la responsabilizzazione dei Paesi del Maghreb deve essere realizzata in modo da renderli autonomi e pienamente partecipi di un processo di normalizzazione dal quale beneficeremo tutti.
Loro devono garantirci che gli aiuti che gli vengono forniti verranno utilizzati per le operazioni concordate e noi dobbiamo dimostrare di essere capaci di voler essere partner affidabili non solo in questi momenti di emergenza ma nel lungo periodo.
C'è da dare un taglio a quella sorta di colonialismo moderno che caratterizza le nostre politiche.
Così come bisogna portare l'Eritrea e altre nazioni sulla strada della civiltà e del rispetto.
Tutto questo processo non può prescindere dal ricordare in maniera concreta all'Europa che essere unione significa avere politiche comuni anche in materia di immigrazione e che quando un profugo varca le soglie delle nostre acque, ha varcato dei confini europei quindi una risposta come Triton non è adeguata.
Nazioni come la Svezia che nei giorni scorsi ha riscosso consensi notevoli per aver manifestato la volontà decisa di rescindere contratti di fornitura di armi del valore di milioni per protestare contro la presunta violazione sistematica dei diritti umani ad opera dell'Arabia Saudita, devono essere richiamate verso una maggiore coerenza e concretezza.

Ad integrazione di quanto affermato dal dottor Santorsa nel corso del convegno organizzato a Roma dalla polizia di stato, va ricordato che pur basandosi i primi soccorsi sulle doti di carica umana delle forze militari e degli operatori di polizia, a oggi sono state messe a punto delle vere e proprie tecniche.
Ad esempio le stanze di ascolto destinate alle vittime di abusi sessuali e di violenza all'interno delle Questure e i metodi con cui investigatori e psicologi si relazionano a donne e bambini, sono stati pensati proprio traendo spunto dall'esperienza fatta con i migranti.
Studi accademici hanno osservato che lo stress e la sofferenza subiti dalle persone sin dal primo momento in cui si vedono costrette a fuggire dai propri Paesi per poi approdare su lidi stranieri e in preda a tutte le difficoltà che ne conseguono, sono del tutto equiparabili al disagio maturato nel tempo dalle vittime di abusi fisici e psichici in seguito a costrizione violenta.

Allo stesso modo in cui siamo arrivati ad elaborare teorie e tecniche che vengono in soccorso dei più deboli, dovremmo essere capaci assieme alle altre nazioni di mettere in atto strategie risolutive per la crisi geopolitica che genera il problema della migrazione.



Foto jeuneafrique.com


Nessun commento:

Posta un commento