sabato 21 marzo 2015

I bamboccioni della jihad. Tra call of duty e Bond.

Sono uscite due nuove pubblicazioni in rete in stile blackflags series.
Si tratta dei soliti manuali con consigli pratici per coloro i quali volessero muoversi verso le zone di guerra o portare la guerra su suolo europeo.
Al di là della valenza e della veridicità di queste operazioni di marketing, salta agli occhi come siano state ideate per quello che è il target medio attuale di Daesh .
Si tratta di giovani tra i quindici e i trent’anni che vivono tra mille comodità in occidente e che devono essere guidati passo passo verso la Turchia anche attraverso improbabili copie di richieste di visto con su scritto “per andare a fare la jihad in Siria”.
Tra le tante raccomandazioni ci sono quelle degli oggetti da portare e dei mezzi di trasporto da usare o direzioni da intraprendere.
L’ebook sulla guerriglia urbana è diretto a lupi solitari o a piccoli gruppi formati da convertiti o seconde generazioni.
Indica le tecniche e i corsi di combattimento da seguire e le fonti a cui attingere : da call of duty al manuale delle sas fino al documento degli operativi delle agenzie di intelligence per sfuggire ai controlli degli aeroporti leakato qualche tempo fa da Assange.
Viene da chiedersi che se ne faccia Daesh di tanti ragazzini muniti di occhiali da sole e fazzolettini imbevuti, pronti a raggiungerli in Iraq e Siria per i quali non basterebbero nemmeno sei mesi di addestramento.
Probabilmente per adesso servono a fare numero e a costruire una idea di stato.
I lupi solitari o i gruppi in stile Charlie Hebdo fanno più che altro paura a noi.
A oggi non sembra esserci ancora una strategia.
Vanno e mandano allo sbaraglio nello stesso modo in cui rivendicano gli attentati di Tunisi e Sanaa. Tutta propaganda in attesa di consolidarsi sul terreno.

Non è quindi necessariamente una situazione di disagio socio-economico uno dei fattori principali che porta alla radicalizzazione, ma è una questione di disagio più che altro personale, le cui radici possono parzialmente essere influenzate da un disagio socio-economico, ma spesso parliamo più di questioni psicologiche che sociologiche.   
È qui che l'Italia dovrebbe intervenire e non interviene. Penso a programmi meno dispendiosi (perché alla fine di questo ci dobbiamo occupare), a programmi di de-radicalizzazione individuale, di mobilitare la società civile (assistenti sociali, scuola, comunità islamiche) per creare una rete di soggetti che, come dice la direttiva, abbiano semplicemente la sensibilità al problema della radicalizzazione.   
Cosa si fa in Italia quando abbiamo il caso di un ragazzo sedicenne che glorifica gli attentatori di Parigi, che esprime il supporto per Al-Baghdadi e lo Stato islamico ? In altri Paesi europei esiste un sistema in cui l'insegnante, l'Imam, l'assistente sociale che noti questi fenomeni si può riferire a una determinata struttura, così da creare un determinato tipo di intervento.   
Per intervento non intendo i Servizi che buttano giù la porta alle 4 del mattino, ma un intervento da parte di uno psicologo, da parte di un Imam, da parte di qualsiasi personaggio in grado di instaurare un dialogo con questo ragazzo, conquistarne la fiducia e cercare (quando è possibile, nessuno si illude che funzioni sempre) di riportare questo soggetto a un rapporto di dialogo, lontano da idee estremiste. Sono programmi che all'estero esistono ormai da una decina d'anni in alcuni Paesi, che funzionano in determinati casi ma non in altri, ma alleggeriscono i Servizi e le forze di polizia di una mole di lavoro che, per quanto l'Italia sia toccata dal fenomeno jihadista meno di altri Paesi, sta diventando sempre maggiore.  Lorenzo Vidino audizione comitato Schengen 9marzo 2015

Vidino che lavora per enti governativi in Italia e all'estero e si fa spesso portavoce dell'antiterrorismo e dei servizi con i quali collabora, ha individuato la chiave di soluzione del problema che il governo continua ad ignorare.
C'è bisogno di programmi di educazione in generale e non solo per i soggetti a rischio ma per tutti i componenti della comunità.
Come si è fatto per la camorra in Campania e per la mafia in Sicilia, quando i napoletani e i siciliani hanno imparato che c'è una alternativa alle attività criminali e gli italiani hanno capito che non tutti i napoletani sono camorristi o i siciliani mafiosi, così si dovrebbe avviare un discorso di educazione per i musulmani e di integrazione per tutti i cittadini teso a cristallizzare la differenza tra islam e fondamentalismo.
Questa è l'unica maniera per contrastare e prevenire l'azione di indottrinamento dei terroristi con le conseguenze che conosciamo.
Non c'è monitoraggio che possa garantire la certezza di fermare un attacco terroristico da foreign fighters di ritorno o lupi solitari.

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