sabato 21 settembre 2013

Di bande e social

Dal convegno organizzato dall’agenzia stampa Dire a Bologna, è emerso che nonostante la buona volontà, sia la polizia che le organizzazioni di supporto alle politiche sociali, non hanno ancora compreso e ben inquadrato, ciò che sta alla base della violenza verificatasi ai giardini margherita, l’entità del fenomeno e come esso possa evolversi.
Come al solito, i Paesi Anglosassoni, che poggiano su di un sistema economico e politico più complesso del nostro, sono anche affetti da questo tipo di disagio sociale e da tutte le sue implicazioni, in misura maggiore. Gli studi e le risoluzioni messe in atto da essi, costituiscono quindi, un riferimento importante.

Da gruppo a banda. 
L’individuo per natura, è portato ad unirsi ad altre persone, che condividono le sue stesse tradizioni e i suoi interessi.
Dagli anni giovanili della scuola, fino a quando siamo ormai bene introdotti nel mondo del lavoro e nel tessuto sociale della società a cui apparteniamo, spesso ci ritroviamo a far parte di gruppi con i quali abbiamo affinità e svolgiamo attività produttive o ricreative.
Il gruppo unisce le persone e ne favorisce gli scambi, anche tra agglomerati diversi.
Quando gli interessi comuni alle persone che costituiscono il gruppo, vengono sentiti come elementi di distinzione, ciò vuol dire che esso sta evolvendo in quello che la terminologia anglosassone, identifica come gang.
Se la personalità di questo nucleo e gli intenti, sono caratterizzati da elementi di violenza, allora la banda diventa di natura criminale.
Ciò è maggiormente portato all’esasperazione, quanto più il gruppo si isola dal resto della comunità.

Cosa spinge i ragazzi a far parte di una banda. 
Essenzialmente è la mancanza di modelli positivi da seguire, all’interno della famiglia, della scuola o dell’ambiente di lavoro, e a livello istituzionale.
Le figure materna e paterna sono assenti, e quella degli insegnanti o dei preti, e anche dei politici, non costituiscono una valida alternativa.
I ragazzi non si sentono compresi o ascoltati, nè si sentono parte di quei nuclei a cui dovrebbero appartenere, e che dovrebbero aiutarli a sviluppare la propria personalità e a realizzare le proprie aspettative. La vita affettiva e di relazione di questi adolescenti, è caratterizzata da un enorme vuoto, che ne limita anche gli obiettivi.
Spesso ci si unisce ad una gang, perché si è parte di una minoranza etnica o religiosa.
La banda è una sorta di tribù, dove ci si sente amati, realizzati, stimati.
Finalmente il ragazzo ha una finalità.

Segni che qualcosa sta cambiando.
Se l’adolescente tende ad isolarsi sempre più, assume un nuovo linguaggio, un modo di vestire particolare, tatuaggi sul corpo, i risultati scolastici sono scarsi e le assenze aumentano, ma soprattutto se il suo modo di esprimersi, è infarcito di violenza inusuale e c’è il sospetto che faccia uso di droghe, allora vuol dire che qualcosa va.

Il ruolo di Internet.
Internet nell’era dei social media, è l’alleato migliore per l’evoluzione di certe tendenze.
Facebook offre una piattaforma ideale per la formazione di gruppi e la condivisione di interessi comuni, per promuovere la cultura della banda.
Il reclutamento su piattaforma digitale, di elementi criminali, è quanto di più semplice ed agevole si possa realizzare.
Le comunità come Twitter e Ask, danno l’opportunità di essere ascoltati, di bombardarsi a vicenda con domande e risposte.
Si ha l’impressione che contiamo finalmente qualcosa per qualcuno, che siamo parte integrante di un progetto.

Cosa fare. 
A questo punto è tutta la comunità, che deve impegnarsi, per far si che la situazione non degeneri.
Bisogna parlare con i ragazzi, non sottoponendoli ad un interrogatorio, ma dialogando con loro, senza opprimerli o imporgli situazioni e comportamenti al di fuori della propria sfera di interessi.
E’ necessario coinvolgerli in attività che risveglino la loro attenzione e li facciano sentire parte importante di ciò che si sta realizzando.
In questo, le scuole e gli uffici responsabili per le politiche sociali, hanno un ruolo fondamentale.
Se la zona in cui si abita è ad elevato rischio criminale e fonte di cattive amicizie, i genitori dovrebbero anche prendere in considerazione l’idea di spostarsi.

Bologna, città laboratorio e tentacolare, con tutte le diversità che la attraversano, le sperimentazioni sulla spersonalizzazione delle identità, è probabilmente il terreno migliore affinchè certe dinamiche prendano corpo.
L’amministrazione dovrebbe lavorare di più, su un’integrazione di tipo inclusivo.

Difficile dire come il fenomeno si stia sviluppando in Italia e come evolverà, ma è bene monitorarlo con attenzione.
Quello che la polizia e le organizzazioni di supporto, possono e devono fare, è semplicemente una mappatura delle tendenze e dei gruppi presenti sui vari social.
Senza trasferirsi armi e bagagli, come sembrava suggerire il simpatico vicecomandante Russo, basta mettere in atto una sorta di sting operation, come si fa nel caso dei pedofili, e impersonare adolescenti pronti ad unirsi a queste comunità.
E’ importante cercare di capire a che livelli di violenza si sia arrivati, e l’appartenenza sociale e territoriale di questi gruppi.
Alla fine Facebook e Twitter, sono una specie di boomerang per chi sviluppa comportamenti anti-sociali, perché lì si postano fatti, circostanze, numeri di telefono, attività.
Sono quindi la miglior fonte di informazioni.
Senza nemmeno perdere tempo a rintracciare l’indirizzo ip, una volta introdottisi in questi circoli, è possibile ricavare una mole enorme di dati che andranno vagliati con attenzione.

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