Quando mi svegliai dal pisolino pomeridiano quell'undici settembre mi resi conto uno che la televisione del Qatar in versione inglese raccontava un sacco di storie su Bin Laden.
E due che arriva un momento nella vita che le cose bisogna farle invece che continuare a pensarle.
A un certo punto Sheikh Al Joulani capì che rimanere a vita il pupazzetto del Qatar significava privare la sua terra e i musulmani della possibilità di liberarsi dalla dittatura.
Fu allora che iniziò a staccarsi lentamente sia da Al Qaeda che dagli uomini dell' intelligence dell' Emiro.
E a intrecciare relazioni di più ampio respiro con altri attori internazionali in regione.
Quello di Doha è stato un attacco terroristico in piena regola.
Nemmeno i menestrelli italiani di Israele possono negarlo.
Quelli che se quando ti ammali non prendi Teva allora vuol dire che sei un antisemita.
Gli uomini del giovane Emiro utilizzano questi gruppi di resistenza nelle aree di interesse senza mai farli uscire completamente dal limbo del terrorismo.
In un mondo in cui è difficile trovare un posto senza guerre questo gioco non regge più. Numero uno.
L' errore del Qatar è stato quello di pensare che anche questa volta Trump gli potesse parare le spalle. Hai voglia a regalare aeroplanini.
Più guerre. Più complicazioni. Meno margini di trattativa.
Numero tre il Qatar esce indebolito non solo in termini di immagine.
Uno stato così facilmente attaccabile è uno stato sul quale non si può fare affidamento.
I suoi alleati non se la passano meglio.
Non riescono ad andare oltre la retorica dei bambini palestinesi salvati e accolti.
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