venerdì 30 giugno 2023

986 &around

Le dichiarazioni di Mancini non convincono: se è vero che consegnò il bossolo al maggiore, è praticamente impossibile che non abbia spiegato perché lo facesse e il reperto fosse rilevante. strisciarossa

Ciò che non è stato all'epoca compreso nel resto d'Italia, dal momento che si è trattato di un fenomeno con una forte impronta locale e non erano ancora nati i social media, è il clima di terrore in cui l'Emilia Romagna viveva. 

L'alone di mistero, e alcune circostanze tutt'oggi poco chiare, non possono non lasciare pensare che non ci si trovasse di fronte a un casuale fenomeno criminale. E' ancora forte l'impressione che ci sia stata, anche solo a tratti, una regia la cui finalità era quella di sfruttare la dimensione terroristica delle vicende che si sviluppavano attorno alla uno bianca. 

Ottenere una risposta a questi e altri dubbi, è presumibilmente l'intento dell'esposto.

Da appartenente ai servizi, e non in qualità di operatore di polizia giudiziaria, Mancini aveva il dovere di consegnare il bossolo dando spiegazioni su come l'aveva ottenuto. Non era tenuto nemmeno a rivelare il nome di chi glielo aveva consegnato.

L'ufficiale del ROS doveva approfondire la questione della provenienza e sicuramente lo ha fatto. Bisognerebbe sapere esattamente quali domande lui ha rivolto a Mancini. Che in quel momento era una fonte importante, ma non fondamentale.

In quegli anni si parlava di questa vicenda un po' dappertutto. Nei bar e in televisione. C'era una trasmissione su un canale locale condotta da Roberto Canditi, volto storico del giornalismo bolognese, che raccoglieva settimanalmente testimonianze, tanto diverse quanto affascinanti, in forma anonima.

E' possibile che i dettagli sul poligono siano emersi nel corso di ulteriori approfondimenti svolti da parte dei carabinieri. Spesso si procedeva per tentativi. Forse a Mancini, che già allora godeva di discreta fama presso collaboratori e colleghi, fu attribuita la storia per intero.


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