domenica 20 maggio 2018

Da Aleppo a Baghdad. Quel sangue che l'Occidente non vuole vedere.

Qualche giorno fa, dopo regolare processo davanti a un tribunale della Sharia, Hayat Tahrir ha eseguito la condanna a morte di un siriano che avrebbe fornito agli apparati russi e assadisti le informazioni che hanno portato ad uno strike mortale su una moschea di Aleppo lo scorso anno. Secondo il Centcom, che ha eseguito l'operazione, era in corso una riunione di importanti capi qaedisti. Si trattò di una strage di civili. E' difficile separare tra militanti e civili in occasioni del genere. Ma quella notte, stando a resoconti da più fonti, non era presente alcun elemento di spicco di formazioni jihadiste.
Se ne parla poco sulla stampa occidentale. Ma le stragi di quel tipo sono all'ordine del giorno dall'Afghanistan allo Yemen. E gli americani ci mettono una pezza con quello che loro chiamano "condolence payment". L'equivalente del blood money islamico.
Raramente si tratta di cifre milionarie come quella pagata alla famiglia Lo Porto.
Piuttosto qualche migliaio di dollari e la promessa di assistenza alle famiglie dei deceduti da parte delle organizzazioni umanitarie.
Queste sono le cicatrici che si perpetuano nel tempo in un Paese anche quando è arrivato alla pace e alla stabilizzazione dopo anni di guerra interna e con la partecipazione di attori internazionali.

La stampa anglo-americana, forse anche perché poco edotta sulle dinamiche politiche interne dell'Iraq, ha puntato molto l'attenzione in questi giorni sul fatto che Moqtada Al Sadr, fuori dal parlamento ma almeno sulla carta il principale artefice del governo che verrà, è colui il quale ha sulla coscienza il sangue di parecchi soldati americani e inglesi accorsi a difendere la sovranità dell'Iraq. E' lo stesso tipo di ragionamento che si fa nei confronti di Qassem Soleimani. Come se le Qods Force fossero qualcosa di diverso da Cia e Mossad.
Sadr non ha cambiato pelle nè idee. Non ha indossato la veste di agnello. Si è semplicemente adattato al nuovo scenario. Ha portato in politica i cavalli di battaglia che lo hanno motivato nella lotta armata. Il rigetto dell'ingerenza straniera, la lotta alla povertà e alle diseguaglianze, l'estirpazione della corruzione. I mali della sua terra.
Il suo percorso potrebbe costituire un modello migliore rispetto ai governi imposti e alle elezioni pilotate da organismi estranei.
Finora ha svolto il compito alla perfezione. Adesso però la sua lungimiranza e concretezza sono messe alla prova proprio dal generale Soleimani. La mossa più logica da fare per il comandante, è trascinare nella coalizione di Al Fatih la formazione Ammar al Hakim che, pur essendosi allontanato dalla sfera iraniana, è comunque rimasto in buoni rapporti.
Assieme ad Al Nasr dello sconfitto Al Abadi, si arriverebbe in tal modo ad un totale di circa 130 seggi, mentre il vincitore virtuale rimarrebbe ben sotto le aspettative. Poi ci sono i vari partiti non allineati. Ma il grande gioco da fare per Soleimani è quello di isolare Sadr per poi costringerlo ad unirsi al suo schieramento.
Vedremo se e come vincerà anche questa sfida.

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