giovedì 26 aprile 2018

Big boy back home

E' difficile fare una valutazione sullo stato di salute complessivo del generale osservandolo sia all'arrivo che durante gli incontri con i suoi. E soprattutto mentre parla davanti alle telecamere.
L'andatura e le movenze sembrano le sue.
Anche la cadenza della voce, e i flebili sorrisi che la accompagnano quando si trova con gente che sa per certo essere dalla sua parte, sono in apparenza invariati.
Pare difficile credere comunque che fosse in coma.
Certo è, che dovrà fare i conti con il contraccolpo causato da questa sua assenza. Dovrà dare ai suoi sostenitori internazionali garanzie solide circa la tenuta del suo comando.

L'aspetto strano dello scenario libico rispetto a quello siriano è che fanno scarso uso dei social.
Al Joulani ha perso quasi mezzo esercito a causa delle proprie malefatte e anche della campagna denigratoria messa in piedi dai turchi attraverso Zenki e Ahrar.
Al Mismari usa i profili social giusto per comunicati importanti o per segnalare i suoi interventi alle tivvù straniere.
La squadra di Haftar è stata messa al tappeto in questi giorni.
Ammesso che si possa parlare di squadra.
Giova ricordare che dall'inizio del cosiddetto Gulf rift non si è mai parlato delle abitudini e dello stato di salute del padre dell'Emiro del Qatar.
E quando iniziò su Twitter uno storm poco piacevole su Sheikha Moza, Saud al Qahtani in persona (il deus ex machina delle strategie mediatiche saudite) uscì per ricordare che la madre non si tocca nella tradizione araba ed islamica.
La campagna costruita sui media da Qatar e Turchia è stata ignobile.
Contraria a tutti gli insegnamenti discesi con il Corano e tramandati dalla tradizione profetica.
I lobbisti italiani che fanno affari con il Qatar dovrebbero stare attenti.

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