sabato 18 novembre 2017

Centomila euro di messaggi

“Indubbiamente si tratta di una fiction. Ma il messaggio che doveva passare e’ passato: lo Stato c’e’ e la cattura di Zagaria e’ stato il risultato di un grande lavoro di squadra. A differenza – si e’ detto – di altre fiction che enfatizzano i cattivi. In questa fiction si e’ esaltato, invece, il lavoro dello Stato”. Ispettore Renato Roberto

Qualche settimana fa nel mio quartiere c'erano un paio di ambulanze ed un egual numero di macchine dei carabinieri. Il capo pattuglia era impegnato a cercare un medico e a comunicare con i superiori e con il magistrato di turno, ma senza scomporsi più di tanto. Con la calma che caratterizza l'operatore abituato a lavorare in strada.
Mentre lo osservavo dal giardino, una scena tra l'altro alla quale da queste parti siamo abituati, non mi pareva di avere davanti lo Stato e neppure un suo rappresentante.
Semplicemente un uomo che, per fare il suo lavoro e tentare per l'ennesima volta di portare un tizio in comunità, stava rinunciando ad un pezzo di vita. Il pranzo domenicale con la famiglia.
Lo Stato per me in quel momento era quello che non aveva impedito al ragazzino gentile e sveglio, che avevo conosciuto tra i banchi di scuola, di diventare un drogato, spacciatore, ladro, ricettatore e chissà che altro. Uno di quei rom di cui si parla tanto al giorno d'oggi come se fossero spuntati da chissà dove, ma che vivono con noi da una vita.
Magari il cittadino normale, specie quelli come noi che non vivono in zone disagiate come Napoli o Palermo, è portato a vedere solo quello che non c'è o non è stato fatto.
Però tra la drammaticità esagerata e strappalacrime del docufilm e la realtà romanzata della fiction, c'è la vita che ci ritroviamo a vivere noi che dobbiamo ritenerci fortunati perchè ogni tanto ci mandano in visita il vicecapo della polizia originario della nostra terra. Come se facesse la differenza.

Così come era stato fatto per Antonio Iovine nella prima serie, si è costruita la figura di Michele Zagaria giocando molto attorno alle relazioni affettive. Nel suo caso però si è andato oltre, andando a pescare nel campo dei rapporti morbosi. Ai limiti della pedofilia.
Agli avvocati che lo difendono e che hanno chiesto un risarcimento, si potrebbe rispondere che trattandosi di fiction, non si può limitare l'autonomia di autori e produttori.
Poichè però questo tipo di prodotti, gli stessi docufilm che tanto hanno successo in Italia, vengono realizzati grazie all'apporto dato da ministeri e dipartimenti vari, alla fine per forza di cose strizzano molto l'occhio al governo che ne ha permesso la realizzazione. Si trasformano cioè in grandi opere di propaganda. Si poteva, oltre ad ascoltare Catello Maresca e Vittorio Pisani, anche dare voce allo stesso Zagaria. Non per restituirgli legitimmità o dargli un pulpito. Semplicemente per accedere ad un'altra parte della verità ed elaborarla in seguito a proprio piacimento.
Alla lunga questo tipo di operazioni sottrarranno credibilità allo Stato.
Oltre che noiose rischiano di diventare poco veritiere.
Bisogna uscire dall'ottica giudiziaria. Quella del buono contro il cattivo.
D'altra parte lo stesso Pisani, e anche Galzerano e Giannini, Rizzi e Roberti, quando vanno in Paesi come Libia e Albania, o africani in generale, si siedono ad un tavolo di trattative con gente dal curriculum criminale peggiore di Zagaria.
Se la ragion di stato deve valere per la realtà, a maggior ragione può esserlo per la fiction.

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