Congedandosi sulla soglia della biblioteca, la moglie del premier ha detto al Papa: «L’Italia è il paese più bello del mondo» e Hariri ha aggiunto: «Sta studiando l’italiano». Il Papa li ha poi accompagnati alla grande finestra oltre la biblioteca, l’ha fatta aprire, e ha fatto loro contemplare una splendida vista su Roma. lastampa
Un Paese è bello secondo la posizione che vi si occupa e le opportunità che offre.
Sheikh Saad, come lo chiamano in Libano, ogni tanto viene dal Papa di turno con la sua bella famigliola e coglie l’occasione per descrivere la realtà del proprio Paese. Ci tiene a far sapere che tutte le religioni vivono assieme.
Tra l’altro parla anche un discreto italiano.
Non fa mai mistero delle contraddizioni e dei travagli del Libano.
Un Paese in cui, un paio di giorni prima delle lodi tributate dal Papa per l’accoglienza offerta ai rifugiati, il ministro degli esteri parla di “invasori” che vanno trattati di conseguenza. E dove la televisione di stato non si fa scrupoli nel sottolineare come essi siano un peso per il cittadino libanese.
Un Paese rappresentato a Venezia da un film vincente accompagnato dal ministro della cultura, e che arresta il regista appena rientrato per avere girato alcune scene di un'altra sua opera in Israele.
Saad Hariri viene a raccontare il suo piccolo grande Libano in un’Italia divisa dall’odio fomentato dalle destre.
E come tutti i governanti musulmani si erge a paladino dell’Islam moderato contro il nemico Daesh. Tanto a lui non chiedono di prendere le distanze. Appunto per quella storia che nel Paese dei mandolini tutto è bello se sei un potente. E lui era uno di quelli che gridava forte che per fare la lotta a Daesh in maniera efficace basterebbe togliere di mezzo il dittatore. Adesso non lo dice più perché vuole che il suo Paese diventi come il nostro. Il più bello del mondo.

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