domenica 30 luglio 2017

Hamad bin Khalifa. Un consigliere molto speciale.

C'era anche lui ad accogliere lo scorso Aprile all'aeroporto di Baghdad i cittadini del Qatar e dell'Arabia Saudita rapiti alla fine del 2015 nel corso di una battuta di caccia nel sud dell'Iraq.
Li ha salutati, ha bevuto qualcosa con loro e assieme alla delegazione del governo del Qatar li ha riportati a casa.
E' riduttivo definire Hamad bin Khalifa bin Abdullah al Attiya un semplice problem solver. Il suo ruolo di mediatore affonda le radici in decenni di lavoro silenzioso fatto di contatti e collaborazioni all'interno del mondo medio-orientale e oltre. Sheikh al Attiya fa da collante tra la politica estera del Qatar e le questioni legate alla sicurezza del Paese. La salvaguardia della sicurezza nazionale e la sopravvivenza delle casate reali nei Paesi del Golfo, sono legate a personaggi come lui che cercano di fare coincidere esigenze di vario tipo.
Quello che lo rende così speciale rispetto ad altri nell'area, oltre al titolo di special adviser assunto con la salita al trono di Sheikh Tamim, è l'attaccamento alla nazione e alla famiglia. E anche la semplicità. Qualità che lo rendono molto amato dalla popolazione locale.
Anche lui non è sfuggito alla morsa del quartetto anti-Qatar che gli ha costruito l'immagine di cospiratore e finanziatore di gruppi terroristici.

Hamad al Attiya: May no enemy give you orders. I have inquired about the Peninsula Shield and there was no Qatari participation. There are only two Qatari officers in the role of observers as per the Peninsula Shield bylaws that we have to abide by. This time we took reservations to avoid participating with troops. Hassan Ali Sultan: Yes but there are two officers from Qatar. HA: Yes there are two observer officers from Qatar as we are obliged to comply with. HS: Sir, Abu Khalifa, right now the people are dealing with and will deal with these forces as occupying forces. I hope you take this into consideration. HA: Shaikh, I am with what you are saying and I am not meant to say this to you but we in Qatar have our reservations due to the brotherly ties with you. You know, the Peninsula Shield bylaws stipulate that we participate. We tried not to allow the situation to develop in order for us not to send forces, troops nor send an air force. 
....HA: If something is formulated, tomorrow after the Prime Minister together with Saud Al-Faisal sit with the King, I will come accordingly, if need be, to visit you or see Shaikh Isa (Qassim) after I see what they reach to with the King or the government. HS: This is an honour Abu Khalifa. Even if you are asked who you want to come visit, myself or the Prime Minister, come visit us there. Whatever works for you. 
....HA: Who is the person that I can get Al-Jazeera to get in touch with to get this information? HS: Mmmmm.. HA: Shall I get them to call you and use an alias? HS: No problem, I just need two minutes to prepare the topic Abu Khalifa. HA: Get back to me in a few minutes. HS: Immediately, I will get back to you.


Per comprendere il dialogo telefonico tra Hamad bin Khalifa e l'allora capo del partito di opposizione, risalente con tutta probabilità alla primavera del 2011 ma reso pubblico dalle autorità del Bahrain giustappunto il mese scorso, bisogna rifarsi al contesto e al livello di coinvolgimento che il Qatar ebbe nelle primavere arabe.
La rivolta in Bahrain, da sempre protettorato saudita, scatenò una sorta di guerra all'interno dell'establishment di Riyadh. Cosa che come al solito rifletteva anche le dinamiche legate alla successione. Spaventato dalla prospettiva che l'insurrezione potesse provocare una reazione a catena in Arabia Saudita, il ministro Nayef bin Abdulaziz impose l'immediato invio delle truppe del Peninsula Shield. Si tratta del braccio militare del Consiglio del Golfo. Nell'occasione la maggior parte dell'esercito era costituito da truppe saudite ed emiratine. Gli altri stati, storicamente meno interventisti, si limitarono ad una rappresentanza operativa comunque significativa. Sua Altezza Saud al Faisal, da sempre fautore del dialogo, accolse di buon grado la proposta che il Qatar presentò, anche agli americani, di farsi mediatore tra il governo del Bahrain e l'opposizione. Nell'incontro tra Hamad bin Jassem e i rappresentanti della casa reale saudita si dovevano appunto discutere i risultati della mediazione che non andò comunque a buon fine poichè il governo del Bahrain decise di continuare sulla strada della repressione.
Il Qatar, che doveva per forza di cose sottostare alla volontà saudita ma non poteva perdere la fama di sostenitore del popolo guadagnata nel corso delle primavere arabe, diede un contributo minimo dal punto di vista militare. Evidentemente non si trattò di un grosso contingente come invece dichiarato ufficialmente dal capo dell'esercito, ma nemmeno di un paio di osservatori come sostenuto al telefono da Hamad bin Khalifa. Questi voleva chiaramente conquistarsi la fiducia di Hassan Ali Sultan. Altra concessione che il Qatar fece ai sauditi, fu quella di ignorare completamente gli eventi su al Jazeera.
Quello a cui mirava Hamad bin Khalifa, quando offrì il microfono di al Jazeera agli oppositori, era una conoscenza dettagliata delle loro identità e l'apertura di un canale di dialogo.
Va ricordato inoltre che il Qatar sventò un complotto ad opera di una cellula presente sul suo territorio che aveva come scopo un attentato in Bahrain. Il ministro degli esteri del Bahrain ringraziò, al termine delle agitazioni, il Qatar per la collaborazione incisiva. Quest'ultima fu anche confermata nella relazione finale della commissione istituita dal governo per accertare fatti e responsabilità nel corso dell'insurrezione.


Abdulaziz bin Khalifa al Attiya, fratello del consigliere di Sheikh Tamim, fu arrestato in Libano nel Maggio 2012 per aver passato alcune decine di migliaia di dollari a due appartenenti ad al Qaeda/Nusra. La prima stranezza sta nel fatto che l'arresto non fu la conseguenza di un'indagine locale, ma avvenne in seguito ad una segnalazione della Cia. I dettagli della vicenda inoltre, furono raccontati solo da un paio di testate vicine a Hezbollah e ripresi dal Telegraph in Inghilterra. Quindi non proprio fonti d'informazione affidabili per tutto quanto riguarda il Qatar. Lo stesso tribunale che processò e condannò al Attiya nel 2014, nel frattempo rientrato in Qatar in seguito a pressioni secondo i soliti ben informati, era anch'esso di marchio Hezbollah.
Uno dei due soggetti che avrebbe ricevuto soldi da al Attiya era un giordano con passaporto del Qatar, Umar al Qatari, che dopo l'arresto si offrì come mediatore per scambi di prigionieri in cambio della propria libertà. Shadi al Mawlawi invece, era un ragazzotto di umili origini che, dopo essere stato preso dal fuoco del salafismo, si trasformò in una specie di capo-popolo che si batteva per i diritti dei rifugiati e contro Assad e gli Hezbollah. Ad un certo punto, ricordano gli amici, qualche strana indagine gli appioppò l'immagine di terrorista e addirittura stragista. All'indomani dell'arresto, probabilmente su pressioni del governo che in quei giorni aveva bisogno di qualcuno che riequilibrasse le tensioni settarie, il giudice stranamente concesse senza problemi la libertà su cauzione. Dai pochi particolari a disposizione,  sarebbe logico pensare che Abdulaziz al Attiya fosse in quel frangente impegnato in qualche operazione di scambio di prigionieri o di liberazione di ostaggi.
La storia è ovviamente tornata a galla, montata ad arte trascinandoci dentro Hamad bin Khalifa, per ribadire i legami nefasti che il Qatar avrebbe con Nusra.
In realtà Sua Eccellenza, ritenuto  l'interlocutore di Abu Mohammed al Julani in funzione del diatacco di al Qaeda e anche artefice delle uscite televisive del capo di Nusra, si è sempre mosso su fronti di mediazione molto delicati. Descriverlo come rifornitore di armi di gruppi terroristici è riduttivo. Purtroppo però, non è riuscito a sottrarsi all'agguato mediatico ordito dal quartetto anti-Qatar.

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