sabato 1 luglio 2017

Empatia civetta

L’esigenza di diversificare le tecniche di acquisizione di informazioni orientandole verso un approccio empatico, così come lo ha definito il dottor Blengini, e di integrarle con quelle classiche basate sull’apporto degli informatori, è nata dalla consapevolezza che i vecchi metodi di captazione ed intercettazione, oltre ad essere fallibili e costosi visto che ci si affida quasi totalmente ad individui che tendono a trarre il massimo vantaggio da questa loro attività e dal rapporto che hanno con gli apparati di sicurezza, e lo fanno spesso anche influenzati dalla paura, sono inadeguati allo sfondo che caratterizza il panorama del terrorismo di matrice fondamentalista attuale.
Più che andare alla ricerca del potenziale attentatore, il cui profilo non è più relegato ad una semplice figura di musulmano più o meno praticante ma poggia su personaggi che vanno dal giovane di seconda generazione fino al convertito o all’emarginato per motivi economici e anche patologici, si cerca di blindare i contesti reali e virtuali in cui egli si muove.
Di qui sorge la necessità, da un lato di stabilire un contatto proficuo non solo con le comunità islamiche ma anche con le comunità in generale, come ad esempio il paesino dove Lara Khadija e il marito si erano rifugiati per non destare sospetti, e dall’altro di scandagliare gli ambienti in cui è facile trovare soggetti borderline che, magari anche non arrivando ad uno stadio avanzato di radicalizzazione, possono costituire motivo costante di preoccupazione. Sotto questo aspetto la polizia australiana è andata oltre la mera richiesta di una norma che autorizzi l’acquisizione di dati da strutture sanitarie, così come auspicavano i rappresentanti del nostro antiterrorismo in parlamento lo scorso inverno. L’esperienza maturata in Inghilterra attraverso il Fixated Threat Assessment Centre, che partì dalla considerazione che spesso gli autori di messaggi minatori rivolti a personaggi pubblici della politica o dello star system finiscono con il rendersi protagonisti di atti di violenza a causa del proprio disagio psicologico, è stata presa come modello in Australia per costituire nuclei misti di polizia e operatori sanitari, coadiuvati da analisti e profilers, con lo specifico compito di individuare soggetti a rischio da inserire in programmi di cura e riabilitazione. L’obiettivo che si è posto Mick Fuller con l’istituzione della Fixated Persons Investigations Unit, non consiste solo nell'individuare potenziali lupi solitari i cui comportamenti sono sfuggiti alle maglie dell’antiterrorismo, ma è anche quello di evitare il profiling nei confronti dei musulmani e in particolare di coloro i quali soffrono a vario titolo di disagio mentale. Non si tratta di una soluzione eclatante o decisiva, ma di un filtro addizionale posto sull’attività di monitoraggio. E soprattutto di un modo di venire in aiuto non solo delle potenziali vittime di un attentato ma anche del perpetratore.
Per mettere in moto la macchina dell’empatia negli interlocutori bisogna stabilire un rapporto fiduciario ma anche fornire mezzi adatti a captare i segnali importanti. Allo stupore del dottor Galzerano che un paio di anni fa si chiedeva come possano passare inosservati gli acquisti atipici di sostanze chimiche, fa da contraltare il programma antiterrorismo della polizia di Escondido che gira per scuole, teatri e negozi insegnando cosa cercare e quali comportamenti possono insospettire piuttosto che stare a guardare se si tratti di un musulmano o di un arabo a metterli in atto. Una quantità eccessiva di pesticida o anche il fatto che il richiedente abbia poca dimestichezza con il materiale che cerca, può costituire un campanello d’allarme. Quando la segnalazione non va nella direzione di un atto di terrorismo, può tornare comunque utile ad individuare altre attività criminali.
Un punto fondamentale della ricerca di informazioni fatta costruendo relazioni con le comunità è quello di non rovinare o esasperare rapporti ed equilibri interni di per se delicati. Per questo motivo Mack Chisty del Met raccomanda ai genitori di non allarmarsi troppo se i ragazzi da un giorno all’altro maturano una identità religiosa più decisa ed iniziano ad essere marcatamente critici delle politiche medio-orientali espresse dal loro governo. Piuttosto li incoraggia al dialogo  in modo da comprendere, prima di allertare le autorità competenti, se i figli stanno attraversando un periodo di cambiamento fisiologico o se sono in una fase di pre-radicalizzazione.
Questo modo, diverso o ampliato, di cercare spunti ed informazioni, poggia molto sulla interazione quotidiana e quindi sulla polizia locale ma anche sulla fiducia. E’ bene comunque mantenere il percorso classico di captazione portato avanti da anti-terrorismo ed intelligence. E' consigliabile però, modificare o interrompere certe cattive pratiche, di cui si lamentano spesso gli avvocati difensori italiani ma che sono comuni agli apparati di sicurezza di molti Paesi, come ad esempio quella dei siti internet civetta messi in piedi dall’Aisi che fanno cadere in trappola proprio quei giovani che andrebbero semplicemente recuperati.
Il cambio di strategia richiede anche un cambio di mentalità e atteggiamento da parte dei nostri servizi segreti tuttora imbrigliati, nonostante l’ampia attività di PR portata avanti dai vertici e dai loro referenti politici, nel ruolo di  sporchi e cattivi.

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