mercoledì 29 marzo 2017

Viva el Baba. Fari puntati su Zawahiri&Julani.

Anche con riguardo all'Italia, è proseguita nel corso dell'anno la pressante campagna intimidatoria della pubblicistica jihadista caratterizzata da immagini allusivi che ritraggono importanti monumenti nazionali e figure di grande rilievo, tra cui il Pontefice. Tema dominante si è confermato quello dell'attesa della conquista di Roma, motivata anche dal ruolo assunto dal nostro Paese nella lotta internazionale al terrorismo e nella stabilizzazione delle aree di crisi, prime fra tutte la Libia. Relazione 2016



Il ruolo marginale assunto dall'Italia nei principali teatri di guerra ha fatto sì che l'attenzione di Daesh fosse puntata più che altro su Roma come luogo simbolo della conquista finale. In Libia grande è il disappunto,  ma da parte della popolazione, per risultati e stabilità che stentano a venire. Risalta poco sui media internazionali, e di conseguenza poco è anche il risalto dato dalle pubblicazioni jihadiste, l'impegno profuso nel combattere il terrorismo di matrice fondamentalista. In virtù del decreto antiterrorismo alla fine ciò che le operazioni di polizia tendono a sopprimere, sono mere intenzioni o anche manifestazioni. Si tratta di una fase che a Daesh non interessa più,  essendosi esaurita in Europa con l'era di Bakri e Choudary.
Prima di arrivare a Roma piuttosto, bisogna conquistare il medio-oriente.
Il Papa per il momento è preso di mira nella misura in cui si relaziona all'establishment religioso islamico che condanna terrorismo e settarismo e si dedica al dialogo.
La conquista militare del medio-oriente non è poi tanto difficile. In Arabia Saudita i terroristi sono già arrivati fino alle moschee sciite e all'interno dei quartier generali dell'intelligence. Una conquista reale e concreta, deve essere completata a livello politico e sociale.

Qui entrano in gioco imam e mufti. Persone che non hanno poteri divini e, al di là delle enormi conoscenze acquisite in campo religioso e giuridico, sono prese ad esempio in quanto padri di famiglia, lavoratori, ottimi comunicatori. Ogni volta che Sheikh Khalfan El Esry, ingegnere omanita e conferenziere apprezzato in tutto il mondo, era invitato ad una riunione di sole donne, veniva letteralmente assalito dalle mamme che volevano da lui rimedi per curare i propri figli o consigli per spronarli allo studio. L'imam è al centro della società come referente spirituale della famiglia e il mufti è il referente religioso e giuridico del governo. Attaccando loro, viene attaccato l'intero sistema, anche in riferimento alle relazioni internazionali che i Paesi musulmani hanno con le controparti occidentali.
Questo sta accadendo a livello mediatico da diverso tempo.
Non passa settimana senza che vengano pubblicati video che mettono sotto duro attacco l'establishment religioso dei Paesi arabi.

Un ulteriore fronte conflittuale si è aperto quando in Siria si è formata la nuova compagine di ribelli che ingloba elementi qaedisti. Assieme ai sapienti istituzionali, nei video viene attaccato con molta virulenza Abu Mohammed Al Julani e, in quello pubblicato alcuni giorni fa, è stata aggiunta la figura di Ayman Al Zawahiri. Entrambi definiti traditori e al soldo dell'America. Si vuole evidentemente porre rimedio alla sconfitta irachena, rubando consensi nel campo altrui. Si tratta di uno scontro insidioso perchè potrebbe non necessariamente indebolire entrambi ma piuttosto causare conflitti sanguinari anche sul suolo occidentale.

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