giovedì 2 marzo 2017

Da più parti cosmetica

Quest’ultima formazione si è dichiaratamente dissociata da al Qaida-Core (AQ-C), dandosi la nuova denominazione di Jabhat Fatah al Sham. Tale separazione è stata tuttavia da più parti valutata come un’operazione puramente cosmetica volta a garantire, attraverso un riavvicinamento con i gruppi islamisti non jihadisti, la sopravvivenza stessa dell’organizzazione, oggetto di costanti bombardamenti. 
Relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza 2016

La parte più autorevole che ha presentato la tesi della dissociazione, messa in atto per evitare i bombardamenti, è stata proprio il capo di Nusra/Jabhat. Nell’intervista concessa ad Al Jazeera nelle settimane successive all’annuncio della separazione, Abu Mohammed Al Julani disse che per ben due volte avevano fatto quello che gli era stato chiesto, lasciando intendere che si trattava di una proposta di Turchia e Stati Uniti avanzata al tavolo delle trattative attraverso i loro partner storici, Ahrar e Free Syrian Army.
Sheikh Al Fateh disse che loro si erano staccati non una, ma ben due volte. Da Daesh e da Al Qaeda. Però la situazione era rimasta la stessa. Nusra era sempre l’obiettivo principale dei bombardamenti. E se si controllano i dati forniti dal Pentagono degli ultimi 8-12 mesi, si può tranquillamente verificare come gli attacchi su Daesh a malapena raggiungano il 5% dei lanci.
In realtà, cioè che è diventato oggetto di discussione quasi dottrinale tra tutti noi che seguiamo la guerra, non è tanto la cosmesi dell’operazione, che di per se non sarebbe nemmeno una notizia visto il contesto, quanto le motivazioni. Una volta chiaro quest’aspetto, poi è consequenziale cristallizzare la vera natura del passaggio di Nusra a Jabhat fino a Hayat Tahrir Sham. In questo ragionamento vengono in aiuto i fatti raccontati sul terreno da più parti e che ormai sono diventati storia.

Alla fine del 2015 Sheikh Al Julani iniziò a presentare ai suoi l’idea della scissione. E da subito, personaggi del calibro di Abu Maria Qahtani, si dichiararono contrari. Per diversi mesi il malumore crebbe e il fronte qaedista anti-Joulani divenne sempre più compatto. Tra i capobastone c’erano Sami al Uraidy e Abu Julaybib. Si tratta di membri importanti e strategici per le loro conoscenze in campo militare e giuridico nonché per l’abilità nel procurare armi e uomini, ma anche molto insidiosi. Nel corso degli anni Al Julani ha tentato di tenerli buoni muovendoli da un settore all’altro dell’organizzazione e accontentando in parte le loro richieste. Ma nella primavera dell’anno scorso era ormai chiaro che la situazione non si sarebbe risolta tanto facilmente. C’erano decisioni drastiche da prendere.

Nel frattempo Al Zawahiri non si limitava ad aspettare l’evoluzione degli eventi. Nella primavera del 2016 inviò in Siria la colonna storica egiziana di Al Qaeda. Gli uomini che erano al suo fianco sin dall’epoca dell’omicidio di Sadat e che erano stati liberati di recente dalle carceri iraniane in virtù di uno scambio per la liberazione di un diplomatico in Yemen. Nel gruppo che si stabilì a Idlib c’era Sheikh Ahmad Hasan Abu l-Khayr al-Masri, uomo chiave dell’era post-Bin Laden. Sarebbe stato ucciso da un drone ad alta precisione di nuovo tipo (notizia confermata solo nelle ultime ore) pochi giorni fa. E’ probabile che la sua eliminazione sia stata anche un monito all’Iran che da tempo usa Al Qaeda nelle sue guerre proxy attorno al mondo.

La tesi sostenuta dagli analisti a libro paga dei think tank finanziati dall’industria bellica e sostenuta dai circoli neocon, è che la separazione sia in sostanza tutta una finta per permettere ad Al Qaeda di ristrutturarsi e stabilirsi sul territorio in maniera ottimale, dal momento che la popolazione non vede di buon occhio la sua presenza. E Nusra si sarebbe prestata al gioco per rafforzarsi. In realtà la Siria serve ad Al Zawahiri come base per lanciare i suoi attacchi su scala globale. Al Julani aveva ed ha come obiettivo unico la Siria, voleva compattare il gruppo avendo sotto il suo comando combattenti efficienti e fedeli e unirsi alla sua gente. Quando Abu Mohammed, che è siriano, iniziò la sua avventura con un pugno di uomini, sapeva benissimo che il modello qaedista da quelle parti non avrebbe funzionato come in Iraq. A lui si erano uniti ingegneri, insegnanti, operai. Gente che non aveva nulla a che fare con lo jihadismo ma voleva liberare il Paese dall’oppressore. Sia lui che Al Zawahiri avevano bisogno di concentrarsi su quelli che consideravano obiettivi primari, e senza diatribe. Ecco perché l’egiziano e il suo vice, proprio Abu Khair al Masri, risposero pubblicamente in maniera quasi stucchevole alla proposta di separazione. Abu Khair, Sayf Al Adel e gli altri, rimasero in zona a organizzare Al Qaeda approfittando dei malumori degli scissionisti di Nusra che hanno dato in massa l’addio definitivo quando si è formato Tahrir Sham. Che poi l’operazione sia stata in gran parte “cosmetica”, concetto sul quale sembrerebbero concordare anche gli analisti della nostra sicurezza nazionale, quella è una questione da considerare in relazione al fenomeno jihadista in evoluzione. Non stiamo parlando di una separazione tra marito e moglie che si consuma nel giro di pochi mesi. Al Qaeda è la storia di vari popoli, è interpretazione religiosa, ideologia politica e strategia militare. E’ storia familiare e tribale. I musulmani sono come i mattoncini che tengono assieme un muro, era solito dire il Profeta Muhammad SAWS. Anche venissero a mancare alcuni aspetti della relazione che c’è tra loro, rimane il legame in Allah.
Per capire quanto drammatico sia il distacco, basti pensare che negli ultimi giorni Sheikh Al Maqdisi, notoriamente sostenuto dall'intelligence giordana che ha tutto l'interesse a mantenere un livello base di tensione in Siria e non sul proprio suolo, si è scagliato contro i vertici di Tahrir sostenendo che la rinuncia alla lotta armata nel nome di Al Qaeda per unirsi alla rivoluzione, è sintomo di debolezza e presagio di sconfitta.

Sotto questo punto di vista con Jabhat si poteva tentare una sorta di interlocuzione per accelerare il processo di distacco da Al Qaeda e tentare di dare un governo stabile alla Siria. Il Pentagono ha preferito la via degli islamisti moderati, cosiddetti vetted groups, uniti ai secolari, pensando che il livellamento del settarismo potesse in qualche modo velocizzare il processo militare e anche quello politico. Non si è tenuto conto della storia e della realtà sul terreno. Adesso aprire un canale di comunicazione con Ayat Tahrir è in concreto impossibile. Nel suo ultimo discorso Sheikh Al Julani ha fatto bene intendere quali sono le intenzioni del gruppo. Squarciare il recinto di protezione militare attorno ad Assad, riportare dalla propria parte i moderati e guadagnarsi la stima e la collaborazione dei civili.

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