lunedì 13 febbraio 2017

Quando Muammar sognava Dubai

Andare a Dubai per me è sempre stata una sofferenza.
Certo ci si trova tutto quello che nemmeno in Italia spesso arriva.
Computer di ultima generazione, libri in tutte le lingue, arredamenti da favola. Il centro del mondo. Non vedevo comunque l’ora che arrivasse il pomeriggio per riprendere l’aereo e tornarmene a casa. Anche l’Oman è in piena fase di modernizzazione ed apertura alla galassia occidentale in tutte le sue espressioni. Ma rimane anche al passo con i suoi tempi e la storia che ha attraversato. Ancora oggi le famiglie fanno colazione alla mattina sedute per terra prendendo il riso con le mani da un unico piatto messo al centro della stanza. Al venerdì vanno a trovare le famiglie al villaggio. Se ne stanno in silenzio ad ascoltare i discorsi della matriarca. Non è strano doversi fermare in pieno centro nella capitale per lasciare il passo ad un paio di cammelli che ti attraversano la strada. A Dubai è tutto caotico e al tempo stesso tutto troppo perfetto. I taxi fanno capo ad una compagnia. I tassisti parlano rigorosamente inglese e sono stranieri. Hanno tutti il tassametro. In Oman puoi rimanere anche un’ora sotto al sole in Agosto a cercare di spiegare a gesti ad un omanita che è venuto dalle zone interne con la sua macchina per farsi un malloppo prima di una festività nazionale, e quindi nemmeno conosce Muscat, che il fatto che sei bianca ed occidentale non gli dà il diritto a fregarti il triplo del dovuto. In Oman si riesce ancora a sentire il respiro della vita.

“Gaddafi called me and told me ‘Mohammed, I would like to establish a city in Libya that is similar to Dubai’,”
“Of course I could not say no to an Arab country that had requested our help. Therefore, we sent a specialised delegation. They travelled and they surveyed and inspected the site and visited the capital,” "When the team decided to start their work the fights and conflicts started as well. The conflicts from the levels that were above Gaddafi, so the team started to notice that there was a problem at the top and they could not proceed,” “If that project was to be have been achieved it would have been an economic city for the African continent and Libya and Libya would have a way better situation,” Sheikh Mohammed Bin Rashed al Makhtoum World Government Summit

Dubai non è solo un agglomerato di case o un quartiere di banche e consolati. Non solo alberghi, spiagge, palazzi da favola.
Dubai è la consapevolezza che per vivere bisogna relazionarsi al mondo esterno. Che non basta più aspettare il terreno in regalo dal governo e il posto sicuro al ministero. Bisogna studiare, imparare le lingue, lavorare. E rimanere ancorati alle proprie tradizioni.
Accogliere il mondo e pretendere rispetto così come bisogna portare rispetto verso le tradizioni degli altri. Per fare questo Mohammed Bin Rashed e tutti gli altri regnanti del Golfo hanno messo il potere nelle mani del loro popolo. Li hanno responsabilizzati. Anche la Shura è democrazia. Una istituzione che ha potere di parlare e consigliare i propri governanti è spesso più incisiva di un parlamento.
Mohammed Bin Rashed e anche Qaboos ogni tanto girano per i villagi e nel deserto. Si siedono ad ascoltare le lamentele e le richieste e prendono nota. Danno istruzioni e poi tornano a controllare che tutto sia andato a posto. Che la gente abbia compreso il proprio ruolo.
Gaddafi aveva in animo di realizzare una piccola Dubai in Libia perchè la vedeva come la soluzione a tutti i problemi. Ma non si può aprire al mondo se non hai ancora aperto al tuo Paese.
Di certo gli Emirati non sono perfetti. Ancora intrisi di rivalità tribali, razzismo,oppressione. Però la popolazione sa che c'è modo di risolvere i problemi parlando con il capo, che è uno di loro.
Questo mancava a Gaddafi. Una visione. O forse l'aveva ma non aveva il coraggio di cambiare le vecchie impostazioni che lo mantenevano ancorato al potere.

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