martedì 3 gennaio 2017

Chi ride ultimo

Ecco perché non ci stupiamo affatto che un giornalista definisca «rivendicazione» un testo che saluta un gesto di aperta ostilità contro il potere, o che un presidente di Regione dichiari che «chi mette bombe non fa politica, ma compie un atto di terrorismo», fingendo di non sapere chi sia a costruire e vendere bombe da sganciare su intere popolazioni.
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In effetti il comunicato del primo Gennaio non era una rivendicazione.
Però dall'isteria di quello odierno, la notizia fatta trapelare dagli inquirenti che sarebbero alla stretta finale, ha avuto il suo effetto.

Giorni fa Daesh ha diffuso un video in cui accusava Abu Muhammad al Julani e Tayyp Erdogan di essere al servizio dell'Occidente. Affermazione risibile almeno nel caso del comandante di Jabhat Fath che non recede dalle sue posizioni anti-occidentali in merito alle invasioni delle terre arabe perchè sa che mettersi al servizio di americani e turchi come fa Ahrar al Sham, equivale a perdere la sua battaglia per la Siria. In un momento in cui a Idlib gli americani stanno decimando la leadership di JF, e al Julani cerca di sottrarre a Turchia e  Russia le formazioni che sono in predicato di andare al tavolo delle negoziazioni, uno dei modi migliori di indebolirlo è quello di accomunarlo a Erdogan.

Quando si lotta contro un competitor che gioca per la stessa causa, non basta mettergli le bombe sotto casa. Bisogna minarne la credibilità portandolo allo stesso livello dell'oppressore.
E infatti Di Stefano, almeno sul piano della comunicazione, ha vinto il round quando ha detto che è stato colpito un uomo del popolo. Un poliziotto.
Forte anche del fatto che sa di avere parecchi simpatizzanti in polizia, non sarebbe strano se cercasse di andare a trovare l'agente ferito portandogli qualche pacco di pasta così come fa con le famiglie disagiate.

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