sabato 10 dicembre 2016

Col po po po modor

Quella mattina era rientrato in ufficio con l’entusiasmo di sempre. La giornata trascorsa a festeggiare la nonna di Matteo l’aveva rigenerato. Allo stesso modo del nipote, era una persona educata e dalle maniere raffinate.
Sul tavolo si era ritrovato la pratica del commissariato di Andria. Aveva seguito distrattamente la faccenda. L’intervista al Questore che parlava di avamposto di frontiera gli aveva ricordato i giorni passati in polizia. Lui preferiva toni misurati e soprattutto non amava apparire. Tra le ultime presenze pubbliche c’era stata un’audizione in parlamento con il prefetto Ferrigno. E di nuovo con il prefetto La Barbera. Carattere ruvido anche lui, ma grande presenza di spirito. Il resoconto della rapina al centro estetico era stato sfizioso.

Il prefetto Ferrigno quel giorno aveva illustrato con maestria tutto il lavoro di contrasto fatto dall’antiterrorismo. Filoni d’indagine che portavano in Africa e si snodavano attraverso l’Europa. Altri tempi. Oggi bastava che un ragazzotto di origini marocchine scrivesse Allah Akhbar su Facebook e gli si presentava alla porta il poliziotto della postale mentre il ministro già si preparava a tirare la penna fuori dal taschino. Altro terrorismo. Oggi chiunque poteva accreditarsi come esperto.
Nel corso di quell’audizione fecero i complimenti al prefetto Ferrigno. Non venne fuori la storia che qualcuno aveva addirittura chiesto di posticipare l’arresto di Lounici. Furbate tra colleghi. Sorrise al ricordo che qualche senatore aveva adombrato l’ipotesi che le Digos sul territorio non fossero in grado di seguire così tante indagini. Gli uomini –gos sono infaticabili. Faceva comodo di tanto in tanto in Italia cercare di smantellare quel reparto. Questioni politiche. Infatti il collega che sosteneva quella tesi poi entrò in politica. Lui se n’era andato solo perché indagini e ricerche così semplici gli stavano strette. Blengini era uomo di larghi orizzonti. Stratega. Il Sisde era il posto adatto alla sua intelligenza tattica. E in fondo avevano bisogno di lui. Effettivamente prima che entrasse, di informative riuscivano a sfornarne poche.
Barattolo di pomodori?! Nemmeno ai tempi in cui i cugini se ne inventavano di tutti i colori, giocando a confondere i terroristi con gli islamici per rendere l’atmosfera un po’ pepata, aveva sentito una roba del genere. Certo ormai il referendum era passato. Meglio una versione soft. Non si spiegava comunque a chi era venuta in mente l’idea. Era chiaramente scritto sul manuale del perfetto agente segreto italiano, che la strategia della tensione va applicata solo a ridosso dei grandi eventi. Successivamente bisogna aspettare di vedere come evolve la scena per poi procedere. Doveva controllare chi c’era dei suoi in quella zona. Magari qualcuno che si stava esercitando su una variante della pentola a pressione. Il barattolo di pomodoro andato a male è certamente una metodica meno costosa.

Tra un trenino e l’altro a casa di Matteo, aveva pensato a come regolare certe questioni. Il risultato del referendum aveva reso evidente la pericolosità del distacco tra regioni e governo centrale. Bisognava mettere in chiaro che gli enti locali sono autonomi fino a un certo punto. C’era da dare una lezione al Molise che aveva aperto il suo ufficetto in Cina. Indegno, come aveva ben detto il ministro Calenda. Con la Cina c’era voluto del tempo per ricostruire un rapporto basato almeno sui contatti. Il capo dei cugini aveva avuto quell’idea meravigliosa di porre un veto sull’acquisizione di Telecom Sparkle. Apriti cielo. I cinesi erano andati su tutte le furie e avevano annullato l’acquisizione di quelle poche aziende quasi fallite che erano riusciti a rifilargli. Che poi, che ne capisce di economia un militare praticamente in pensione? Blengini si era messo d’accordo con un suo contatto della sicurezza interna cinese per organizzare un raid negli uffici della rappresentanza molisana. Vi avrebbero trovato volantini con foto e frasi del Dalai Lama. Per aggiungere un pizzico d’intrigo avrebbe fatto piazzare qualche cimice al ministero del turismo. Aveva già in mente chi inviare per quel lavoretto. Un giovane di belle speranze che si occupava di rilevare e mettere dispositivi elettronici. Tale Conte. Era arrivato dalla Questura di Napoli casualmente nell’era De Gennaro. Dritto in servizio alla presidenza del consiglio. Tecnico di talento ovviamente. Come amava ripetere il sottosegretario Minniti, alla sicurezza nazionale non c’è spazio per i raccomandati. Doveva controllare se era ancora in servizio da loro, visto che De Gennaro era andato via. La chiusura della rappresentanza molisana in Cina avrebbe fatto da monito per gli altri.

Matteo aveva capito che doveva rigenerarsi politicamente per tornare vincente. Il suo modello era il consigliere storico di Putin. Surkov era un grande amico dell’Italia. Ogni tanto veniva in vacanza, se così si può dire. Non lo aveva più visto da quando l’unione lo aveva messo in lista nera. Non sapeva se era tornato di nuovo. Le visite poco ortodosse erano a carico dei cugini, i quali però facevano spallucce quando succedeva un patatrac. Ai tempi della Shalabyeva la stampa aveva chiesto all’Ambasciatore Massolo se ne sapessero qualcosa. Quasi offeso, il direttore aveva fatto spallucce. Il vero agente segreto sa tutto senza sapere niente. Il nuovo direttore era ancora molto sbirro. Si dava sempre le arie di chi sa tutto di tutti. Atteggiamento pericoloso perché poi in tribunale trovi spesso un magistrato che ti dice che non potevi non sapere. Da quando era arrivato, Blengini non aveva ancora approfondito la conoscenza. Aveva ascoltato qualche suo discorso in pubblico pronunciato con un forte accento napoletano. Lo aveva visto in lontananza in corridoio e aveva sentito un “iamme ia”. Un brivido gli aveva attraversato la schiena. Blengini in tanti anni aveva viaggiato e aveva anche imparato il toscano e il romanesco soft che parlava lo spilungone dell’Ucigos. Lui era un tradizionalista. Riteneva che un capo di servizi segreti dovesse parlare in maniera comprensibile. Il napoletano è una lingua musicale. Ma poco adatta ad essere compresa. Magari gli avrebbe fatto seguire un corso di dizione.

Blengini era stanco ma felice.
Lo stratega che era in lui era la carta vincente dell’Agenzia.
Time to go home.

*Come gli altri della blengy saga, questo post è una rivisitazione in chiave ironica di scenari e personaggi che ho preso in esame attraverso il blog in questi anni in base a resoconti disponibili in rete. Se ciò crea problemi a qualcuno, protagonista incluso, può contattarmi e comunicarmelo.

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