lunedì 7 novembre 2016

Obama è un gigante del nostro tempo

Quando il presidente del consiglio pronunciò quella frase, lo sguardo di un signore un po’ in là con gli anni, chiuso in ufficio sebbene fosse domenica, si illuminò. A dire la verità all'inizio non aveva riposto grandi speranze su quel giovane politico. Faceva da decenni quel mestiere e ne aveva serviti tanti di governi. La politica non è cosa facile. I giovani, soprattutto se provenienti da esperienze locali, mal si adattano ai nuovi schemi. Ma quel sindaco aveva grinta. Una marcia in più. Aveva dato la sua approvazione, così come era solito fare quando in ufficio c’erano da rinnovare cariche o funzionari da mandare avanti. Nell’ambiente la chiamavano benedizione. La sua era fondamentale.
Sorseggiò il caffè rigorosamente americano e diede un’occhiata ad una relazione arrivata da poco. Lui amava lo stile americano. Non per niente lo chiamavano l’americano. Era il resoconto di una riunione di notabili del villaggio in cui era nato. Nulla di straordinario. Avevano messo giù una serie di linee guida da far seguire alla popolazione per evitare che il Paese precipitasse nel caos più di quanto lo fosse già. Una specie di dichiarazione di intenti che limitava le azioni criminali, l’estremismo religioso, i soprusi. Il consiglio municipale non vedeva di buon occhio il governo nazionale. Magari quella iniziativa che richiamava la legalità avrebbe potuto spingerli ad una conciliazione. A dirla tutta quel governo non piaceva a nessuno. Ma non ce n’era uno migliore. Era stato messo assieme per necessità. Anche per compiacere gli americani come al solito. E come al solito non riusciva a decollare. Sorrise pensando che il giovane presidente del consiglio da quelle parti avrebbe potuto fare bene. Se per lui le cose si fossero messe male a Dicembre, lo si poteva mandare là. I beduini gli sarebbero piaciuti e lui sarebbe piaciuto a loro.
Girò sul canale dei figli vip. La giornalista bionda che tutte le sere intratteneva il pubblico traducendo i giornali americani, una fortuna che in Italia nessuno spiaccicasse una parola d’inglese, stava mostrando una lettera. Era firmata dallo spilungone dell’Fbi. Sorrise di nuovo perché se l’aspettava. Lo conosceva bene. Non aveva capito perché si fosse fatto prendere dal panico quando in fondo aveva già perso la faccia dicendo che Hillary era semplicemente un’ignorante telematica piuttosto che una criminale incallita come sembrava. In America si erano arrabbiati. Nel resto del mondo ci avevano riso sopra. Un po’ come quando in Italia tutti ridevano della sua vecchia agenzia. Ai tempi in cui gli italiani vennero a sapere della sua esistenza. La cosa gli aveva provocato un po’ di fastidio, ma poi ci aveva fatto l’abitudine. Con il potere che aveva, riusciva ad evitare paparazzate inutili e ormai le interviste non gliele chiedevano nemmeno più. Non ne vedeva la ragione. Il suo compito era quello di proteggere la nazione . Non di parlare con i comuni cittadini ai quali molto probabilmente di lui non importava nulla. Quindi meglio continuare a muoversi al buio e in silenzio. Quando si era dato da fare per entrare in agenzia, lo aveva fatto perché pensava fosse il mestiere adatto a lui. Non per vincere una gara di popolarità in piazza.
In generale non aveva mai capito quella mania di mettere un giurista a capo di una agenzia investigativa. Loro avevano provato con un diplomatico. Andava bene per i selfie con i giovani e per intrecciare relazioni proficue. Il lavoro vero alla fine toccava a lui.
Ultimo sorso. Ultima occhiata. Ora di andare a casa.

In un ufficio a qualche isolato di distanza c’era qualcun altro interessato a quell’intervista. Un signore brizzolato e con gli occhiali era visibilmente contrariato. Al presidente del consiglio era stata applicata giusto un po’ di cipria. Non gli copriva i nei, tantomeno i brufoli. E quel faccione in primo piano che bucava lo schermo. Non era riuscito a convincere il giornalista a cambiare inquadratura. Quella del viso in primo piano e sullo sfondo, era un po’ il suo marchio di fabbrica. Intervistava tutti in quel modo da vent’anni. Forse più. Era un giornalista di grido una volta, ma tenuto nelle soffitte dei canali tematici ultimamente. Era comunque meglio tenerselo buono. In effetti da quando aveva assunto l’incarico, il presidente del consiglio era leggermente ingrassato. Ma nei punti sbagliati. Sul viso e in pancia. Quel paio di chiletti in più che su un magro sembrano quintali. Non riusciva ad abbottonare la giacca e quando rideva sembrava un cartone animato. Non ci voleva. Già di suo non ispirava simpatia presso la popolazione. Con quel faccione perdeva voti appena lo inquadravano. Le breaking news lo rasserenarono. Lo spilungone dell’Fbi aveva chiuso l’inchiesta su Hillary. Non sopportava quell’uomo . Era troppo alto. Ogni volta che si incontravano, il suo fascino ci rimetteva. Anche lui era alto e slanciato, ma Comey sembrava una giraffa. E quegli occhi poi. Le donne guardavano solo lui. La cosa lo infastidiva se venivano a trovarsi nella stessa stanza.
Quando in tivvù mostrarono l’immagine di Hillary, si rattristò di nuovo. Da martedì notte in poi, avrebbe dovuto ricordare al presidente del consiglio di cambiare nome nelle frasette di circostanza. Hillary è un gigante del nostro tempo. Gigante o gigantessa ? Doveva controllare. Il voto delle donne a Dicembre era fondamentale. E poi c’era da chiamare la Clinton rispolverando le frasette di circostanza in inglese. Hi Hillary, have I told you lately that Italy loves you ? Amava il suo lavoro, ma ultimamente gli sembrava faticoso. Stava diventando insofferente. Forse era l’età. Non era più un ragazzino.
Diede un’ultima occhiata alle mappe segrete nascoste nel suo computerino. L’ultimo hacker che gliele aveva sistemate era stato arrestato dalla polizia di recente. Sempre la fissa delle manette. Non sopportava più nemmeno i suoi vecchi compagni di lavoro.
Time to go home.

Nessun commento:

Posta un commento