lunedì 26 settembre 2016

Quella Giordania di Rania e Abdullah che non incanta più

L'aspetto più inquietante dell'assassinio di Nahed Hattar è che i denigratori hanno continuato ad insultarlo sui social e a festeggiare anche dopo l'accaduto. Mohammad al Maqdisi lo aveva condannato senza appello all'apostasia. E non si tratta di uno di quei meccanismi perversi che caratterizzano i social.
La Giordania è una polveriera pronta ad esplodere all'occorrenza. Hattar aveva semplicemente condiviso una vignetta che mette in risalto l'uso strumentale che Daesh fa della religione. Non erano valse a nulla le sue spiegazioni. Così come a nulla serve che sua maestà si faccia fotografare mentre ritira la nuova carta di identità nella quale non sono più messe in evidenza religione ed etnia di appartenenza. Per troppi anni il re e la sua consorte hanno pensato che le manifestazioni di facciata per convincere l'alleato americano a versare miliardi di dollari ogni anno nelle casse giordane, fossero sufficienti a sanare il clima di odio e razzismo che regnano in una società così eterogenea. E hanno chiuso un occhio, essendone anzi complici, sulla repressione feroce messa in atto dagli apparati di sicurezza.
I vestitini di Rania non bastano più.

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