domenica 31 luglio 2016

L'arte della diplomazia e della guerra. Queste sconosciute.

Agli educatori spetta il compito di ricordare il volto umano di Maometto, celando il suo volto severo, attraverso la strategia del “politicamente corretto”, inteso come mezzo di scontro pedagogico. 
Ai magistrati spetta il compito di rendere più facili le espulsioni dei musulmani con idee violente, ammesso che siano privi dei diritti di cittadinanza. Ai politici di professione spetta il compito di promuovere un tipo di sistema politico, basato sullo slogan: «L’Italia non è un paese per integralisti islamici», attraverso l’approvazione di leggi, finalizzate al contrasto dei processi di radicalizzazione. La lotta contro il terrorismo islamico non è soltanto un problema dei carabinieri. Un’intera società è chiamata a mobilitarsi.

La prima battaglia con i meccani fu combattuta a Badr e fu vinta dagli uomini di Maometto, il quale ordinò di decapitare un prigioniero inerme. La responsabilità dello scontro fu dei musulmani, che avevano assaltato una carovana meccana.  
Alessandro Orsini il messaggero

Dovremmo affidare il talentuoso sociologo, che in questi giorni ha giustamente molto lavoro tra interventi sulla stampa e in televisione, alle cure del generale Manenti.
Di sicuro è la persona più indicata per spiegargli cosa è una guerra e che i prigionieri, pur essendo inermi una volta catturati, non perdono lo status di criminale di guerra.

La versione dei fatti, così come la presenta il professor Orsini, è simile a quella personalizzata e fuori contesto che propongono i terroristi.
Il resoconto del giovane accademico esclude quasi completamente i profili politico e militare.
Mancano proprio i fatti. Si può essere o meno d'accordo con l'interpretazione che noi musulmani diamo di versi coranici, detti del profeta ed eventi.
Però non si può raccontare un pezzo di storia islamica come se fosse una storiella qualsiasi.

Se ci si addentra nel dettaglio degli eventi presi in esame, ci si può facilmente rendere conto che non c'è bisogno di cambiare nulla dei testi islamici per elaborare una contronarrazione efficace rispetto a quella di Daesh. Il volto del Profeta non è severo, ma espressione del rigore e dell'equilibrio che caratterizza l'Islam. Più che celarlo, bisognerebbe metterlo in risalto.
Bisogna però conoscere e studiare i fatti nel dettaglio e saperli comunicare in maniera adeguata.

Il Profeta Muhammad decise, su ispirazione divina, di allontanarsi dalla Mecca perché era ormai chiaro come la sua vita, e la trasmissione quindi del messaggio coranico, fossero in pericolo.
Giunto a Medina si trovò di fronte ad una realtà tribale varia, costituita da gruppi di politeisti e arabi cristiani che lo accolsero con molta benevolenza, e da comunità ebraiche insediate a Yatrib (nome antico di Medina) dopo essere sfuggite alle persecuzioni siriane e bizantine. Queste in parte gli furono ostili sin dall’inizio perché, oltre ad essere spaventate dalla presenza di una tribù con usi e costumi estranei ai loro, vedevano nello stato islamico appena fondato, una minaccia per la loro stessa sopravvivenza. Uno stato coeso attorno ad una religione era una novità per un’epoca in cui le società erano fondate su relazioni parentali o al massimo commerciali.

Muhammad, dopo aver costruito la moschea e stabilite le regole di convivenza fraterna tra i musulmani, si dedicò alla stesura di un documento che poneva le basi per l’esistenza di quella che potremmo definire come una confederazione di stati guidati da lui stesso. Muhammad mai intese chiedere o imporre agli ebrei di Medina o ad altri, che questi si convertissero all’Islam. Il trattato di mutua alleanza prevedeva che ciascuno continuasse a praticare la propria religione e a portare avanti le attività commerciali intraprese senza interferenze. Se qualche tribù avesse attaccato gli ebrei, era dovere dei musulmani intervenire in aiuto e viceversa. Trattati dello stesso tenore furono stretti con altre tribù. Gli ebrei della Mecca non erano nemici potenziali ma reali. Dopo essersi liberati del Profeta e dei suoi seguaci, non se ne stettero con le mani in mano, ma continuarono a tramare contro di lui. E Muhammad veniva informato in tempo reale di queste loro macchinazioni, grazie a quella che fu la prima vera rete capillare di intelligence messa a punto nel mondo arabo.


7 [E ricordate] quando Allah vi promise che una delle due schiere [sarebbe stata] in vostro potere; avreste voluto che fosse quella disarmata! Invece Allah voleva che si dimostrasse la verità [delle Sue parole] e [voleva] sbaragliare i miscredenti fino all'ultimo, 
8 per far trionfare la verità e annientare la menzogna a scapito degli empi . 
9 E [ricordate] quando imploraste il soccorso del vostro Signore! Vi rispose: «Vi aiuterò con un migliaio di angeli a ondate successive» . 
10 E Allah non lo ha fatto se non per darvi una buona novella, affinché grazie ad essa si acquietassero i vostri cuori. Non c'è altro aiuto che quello di Allah. Allah è veramente eccelso e saggio. Sura al Anfal Traduzione interpretativa a cura di Hamza Piccardo 

Che la battaglia di Badr sia stata più un rischio obbligato, che un’aggressione nei confronti dei Quraysh, lo dice il fatto che Muhammad decise di entrare in azione pur essendo in netto svantaggio. Disponeva di poco più di trecento uomini, settanta cammelli e un paio di cavalli. Per contro gli avversari potevano contare su più di mille uomini. C'erano due buoni motivi per attaccare. Innanzitutto i Quraysh alla Mecca li avevano derubati di tutti i loro beni. Ed essendoci uno stato di tensione permanente, bisognava cercare di sottrarre loro il monopolio della rotta siriana, che era poi quella sulla quale venne sferrato l'attacco alla carovana.
La comunità medinese per sopravvivere doveva anche espandersi.
Tra i prigionieri, inermi ovviamente dopo la cattura ma decisamente molto attivi nella fase meccana e durante la battaglia, c’erano Nadr bin Harith e Uqba bin Abu Mu’ayt. Quando quest’ultimo chiese al profeta per quale motivo erano stati scelti, Muhammad rispose che era a causa dell’odio perpetrato contro Allah e il suo messaggero.
Uqba chiese : chi si prenderà cura dei miei figli ? Il profeta rispose : il fuoco.
Stiamo parlando di due persone che inizialmente si schierarono contro il profeta interrompendolo nel corso dei suoi sermoni e insinuando nella gente l’idea che stesse proclamando falsità. In seguito gli tesero vere e proprie trappole per assassinarlo. Come un gruppo di sapienti ricordò nella lettera inviata ad Abu Bakr al Baghdadi quando questi si arrogò il diritto di uccidere i prigionieri di guerra, Muhammad agì in qualità di capo dello stato islamico e dell’esercito, riservando ai due il destino previsto per i criminali di guerra.

Tornato a Medina, Maometto, con un pretesto, cinse d’assedio ed espulse la prima delle comunità ebraiche, con cui fu clemente.

Di pretesti ce ne furono parecchi, ma tutti creati ad arte dai Banu Qaynuqa, i quali sin dall’entrata in vigore del trattato con i musulmani cercavano occasioni di scontro. Mentre il Profeta e i suoi erano impegnati nella battaglia di Badr, questi intensificarono la propria azione di disturbo, interferendo con gli affari di quelli che sulla carta erano propri alleati. Le tribù degli Aws e dei Khazraj. La goccia che fece traboccare il vaso fu un brutto episodio avvenuto al mercato e che vide una donna oltraggiata da un fabbro che la denudò.
Ormai era chiaro che i Banu Qaynuqa erano venuti meno agli accordi.
Accordi che hanno sempre determinato l’azione del profeta.
Questa era la sua clemenza. La giustizia dettata da Allah.

La seconda battaglia di Maometto fu combattuta sul colle Uhud e fu vinta dai meccani. Maometto fu ferito e si diede alla fuga. La responsabilità dello scontro fu dei meccani, che volevano vendicarsi della sconfitta precedente. Tornato a Medina, Maometto cinse d’assedio ed espulse la seconda tribù ebraica. Ancora una volta, fu clemente.

Non si trattò di fuga vera e propria.

La sconfitta dei medinesi maturò per due scelte sbagliate operate da parte loro.
Dopo aver avuto notizia delle preparazioni di guerra dei meccani, il Profeta chiese un parere su come avrebbero dovuto respingere l'attacco. La maggioranza si espresse in favore del combattimento al di fuori delle mura di Medina.  Dopo una prima fase positiva, gli arcieri schierati vicino alla montagna, pensando che la vittoria fosse ormai scontata, abbandonarono le loro postazioni per reclamare il bottino. In seguito a questa mossa, la situazione si ribaltò completamente. I medinesi erano allo sbando e si sparse la voce della morte del Profeta. In realtà questi era accerchiato ma, invece di fuggire, rimase a combattere assieme a nove dei suoi. Quando il resto del plotone lo trovò, erano rimasti in tre e sembrava che la morte per Muhammad fosse vicina. Il Profeta tuttavia riuscì a riorganizzare i ranghi e a trovare rifugio in una piccola area sul fianco del monte. Quando i Quraysh smisero di cercarlo, pensando che fosse morto, tornò assieme ai suoi a Madina.
Nel frattempo molte delle tribù con i quali aveva stretto alleanze lo avevano abbandonato e congiuravano contro di lui assieme ai meccani. Tra questi i Banu Nader erano i più insidiosi e per questo motivo si arrivò allo scontro.

La terza e ultima battaglia di Maometto è nota come la battaglia del fossato. I meccani cinsero d’assedio Medina, ma furono respinti e si ritirarono. Maometto, festeggiato il trionfo, accusò la terza tribù ebraica di avere stretto un’intesa segreta con i meccani e la cinse d’assedio. Dopo una breve resistenza, gli ebrei si arresero e chiesero clemenza. Maometto lasciò che un suo uomo, Sad ibn Muadh, decidesse la sorte di questi prigionieri inermi. Tutti gli ebrei maschi, circa seicento, furono uccisi. Le loro donne, e i loro bambini, furono venduti come schiavi.


Nel corso della battaglia di Khandaq o del fossato, che prende il nome dal suggerimento dato da un aiutante del Profeta di origini persiane, circa la tecnica, ai tempi sconosciuta in terra d’Arabia, da usare per proteggere il lato nord di Medina ampiamente scoperto ed esposto ad eventuali attacchi, il comandante dei Banu Nader portò dalla sua parte un’altra tribù di ebrei. Si trattava dei Banu Quraiza che erano alleati della tribù degli Aws. Al comando di quest’ultima c’era Sa’d Ibn Mu’adh al quale il Profeta si affidò prima per cercare una mediazione onde evitare lo scontro, e alla fine per decidere il destino dei Quraiza. Sa’d, che era quindi la persona più imparziale per un compito del genere, prima di morire a causa delle ferite riportate in combattimento, decretò la morte per i combattenti maschi fisicamente abili che si erano macchiati del tradimento nei confronti dei medinesi e li avevano combattuti con ogni mezzo e atrocità. Donne e bambini furono dichiarati prigionieri di guerra e messi in salvo. Una eventuale vittoria di Banu Nader e Quraizah avrebbe avuto come conseguenza, quella della distruzione dello stato islamico.

Se, come sembra, il ministro Alfano ha intenzione di iniziare un'opera vera di educazione ed integrazione dei musulmani, è bene che sia attento non solo nella scelta delle figure professionali di cui un progetto simile necessita, ma anche che questi vengano impiegati nella loro sfera di specializzazione. Spesso gli esperti in un ramo, si addentrano in questioni collegate con cui però hanno poca familiarità, e creano confusione.


Foto Malik Ali

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