lunedì 18 luglio 2016

Kill&Destroy

Per la seconda volta in poche ore Daesh ha sfruttato a tempo di record le notizie provenienti dalla Francia. Dopo aver saputo del complice che gli forniva le armi, ha inserito il profilo del tunisino in una infografica riassuntiva sugli attentati compiuti in Francia. Daesh non rivendica mai prima di essere sicuro del movente dell'attentatore. Ne va della sua credibilità. Così come riesce a capitalizzare da un attacco ispirato, in cui quindi l'attentatore non sembra avere un legame diretto con i combattenti su suolo siro-iracheno, verrebbe a perdere una enorme mole di consensi se cercasse di prendere credito per un attentato che non è attribuibile a se stesso. Ciò gli permette nel breve periodo di fare presa sul lupo solitario e nel lungo termine, su microcellule e gruppi organizzati.

I discorsi su censura e rimozione di contenuti su internet sono inutili. Peter Bergen suggerisce di distruggere con droni o attraverso electronic warfare tutte le strutture di cui si serve Daesh per trasmettere questi messaggi. E anche di dare voce ai reduci pentiti dalle aree di guerra che possono contribuire in maniera efficace a costruire una contronarrativa adatta a contrastare la propaganda. Ragionamento questo, che non piace perchè in fondo i canali usati da Daesh servono agli eserciti occidentali e all'intelligence per acquisire informazioni. Però la vicenda di Nice dimostra come si debba fare ricorso a misure drastiche. La teoria della radicalizzazione rapida, così come l'hanno descritta il procuratore incaricato delle indagini e il ministro Cazeneuve, può tornare utile per una comprensione sommaria dei fatti. La realtà è che ci sono soggetti come Lahouaiej-Bouhlel molto sensibili ed esposti ai messaggi distruttivi. E i servizi sociali, le strutture sanitarie o anche polizia e intelligence non sono al momento in grado di individuarli perchè i loro profili sono molto complessi ed inseriti in realtà sociali eterogenee che spesso sfuggono ai loro radar.
Se i governi vogliono agire in maniera concreta, allora ci si deve orientare sulla strada indicata dall'esperto americano. Bisogna distruggere qualsiasi struttura in grado di trasmettere video e audio messaggi oppure di inviare messaggi alle piattaforme che ospitano microblogs, forum e social e di cui loro si servono. Sarà anche difficile ma si deve trovare un modo.
Così come bisogna ricorrere agli extra-judicial killings per colpire non solo i combattenti, ma soprattutto quelli che hanno contatti diretti con europei ed italiani. Se la nostra legge non lo consente, si può dare l'incarico ad americani ed inglesi.
Un altro grosso problema per l'Italia è costituito dalle espulsioni. Si tratta di una soluzione a breve termine . Quelli che vengono rimandati nei loro Paesi si radicalizzano ulteriormente, continuano a mantenere i legami con l'Italia attraverso internet e a fare propaganda e reclutamento. Oppure tornano come è accaduto nel caso di un grosso calibro come Ben Nasr Mehdi. Bisogna coordinarsi con le forze di polizia e i servizi dei Paesi nostri interlocutori storici, come quelli del Maghreb e dei Balcani, in modo che questi neutralizzino in maniera efficace i soggetti che gli abbiamo rimandato indietro.
Ma nel lungo termine bisogna pensare a soluzioni alternative alle espulsioni.
Se siamo in guerra, dobbiamo combattere con i fatti. Non a parole.

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