lunedì 18 luglio 2016

Simbolico

Il valore simbolico che Roma ha per il terrorismo islamico basterebbe a considerarla obiettivo a rischio. Ma se in queste ore è sulla Capitale che si concentrano le preoccupazioni maggiori degli apparati di sicurezza è per un motivo più preciso. Con regolarità impressionante, ogni volta che vengono individuate cellule attive sul nostro territorio, Roma figura al primo posto tra i bersagli. Era così per l'afghano Nasiri. Ed era lo stesso per Raim Moutaharrik, il campione di kickboxing arrestato in aprile su richiesta della Procura di Milano: sul suo telefonino arrivavano i messaggi Whatsapp di Mohamed Koraici, amico fraterno passato a combattere in Siria nelle file dell'Isis, con le indicazioni operative. «Colpisci Roma, sede del pellegrinaggio dei cristiani», gli dicevano. E lo stesso vale per il giovane imam arrestato in marzo a Campobasso: «La guerra continua - scriveva - Charlie Hebdo era solo il precedente di quello che sta succedendo adesso () c'è una strada più semplice, quella di attrezzarsi e farsi saltare in aria () cominciamo dall'Italia, andiamo a Roma e cominciamo dalla stazione». E a colpire il Vaticano si preparava la cellula di Siyar Khan, il 36enne somalo arrestato l'anno scorso a Fiumicino, accusato di avere preso parte all'organizzazione di una strage a Peshawar nel 2009.Fazzo il Giornale

Ancora con la storia di Peshawar.
Non siamo riusciti a portare a casa sano e salvo Lo Porto nonostante il supporto di Cia, Isi,Talebani e Haqqani. Figurarsi stabilire legami e contatti risalenti al 2009.

Gli investigatori non hanno potuto raccogliere nemmeno mezza prova concreta che uno qualsiasi di quegli indagati stesse realmente pensando di compiere e portare a termine un attentato.
Hanno puntato sulle intenzioni che è il core business  del decreto antiterrorismo.
E i giornalisti non sanno andare oltre. Prendono nota delle frustrazioni dei loro interlocutori e le trasmettono a seconda del giornale per il quale scrivono.

L'appello a colpire Roma verrà raccolto da quelli come Lahouaiej-Bouhlel che vivono in Europa da tempo e a dispetto della mancata o finta integrazione, conoscono molto bene le nostre abitudini e i luoghi affollati che costituiscono un simbolo. Gli scambi tra Khachia e Moutharrik sono una dimostrazione di ciò. Sotto questo punto di vista il pericolo può e deve essere arginato. Anche se il radicalizzato veloce è impossibile da scovare. Tutto sta alla protezione dei luoghi noti.
Al di là della propaganda portata avanti da ministero dell'interno e governo sui mezzi di comunicazione, le nostre forze dell'ordine e i servizi stanno facendo un sforzo enorme che dovrebbe essere alla fine premiato. E non sarà sufficiente un ringraziamento da parte nostra per rendergli onore.
Quelli che spaventano sono i foreign fighters. Vivi, morti e finti morti.
Saranno anche pochi rispetto al numero complessivo. Però ragionano meglio della media.
Non si faranno saltare in aria in piazza del Vaticano e sanno come evitare i controlli per rientrare.
Non so quanto sia possibile arginarli. E' solo questione di tempo. Prima o poi ci tocca.

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