martedì 19 luglio 2016

Daesh di serie A e di serie B

L'attacco perpetrato dal ragazzino afghano che si è scagliato contro i passeggeri di un treno in Germania brandendo un'ascia e attrezzi simili, e nella cui camera da letto sarebbe stata trovata una bandiera di Daesh dipinta a mano, è la conferma di quanto scriveva il direttore di Brookings alcuni giorni fa, in un articolo in cui commentava la vicenda di Nizza, sostenendo che dobbiamo distinguere tra Isis vero e proprio e Isis-ish, una brutta copia di
Daesh. Dal punto di vista di al Baghdadi, contano molto di più questi attentati che potremmo definire di serie B, perchè contribuiscono alla propaganda e al reclutamento. Sotto il profilo investigativo invece, la situazione si rende più complicata perchè non esistono misure specifiche da prendere, se non le classiche tese al contrasto della criminalità in generale. Questo tipo di attacchi è impossibile da prevedere.

A questo proposito Marco Ludovico domenica scorsa, nel dare notizia delle circolari emanate dal ministero dell'interno e dal capo della polizia che hanno in oggetto un innalzamento generale del livello di attenzione, notava che il tono grave usato dal prefetto Gabrielli nel mettere in guardia i suoi uomini da eventuali attacchi diretti alle forze dell'ordine, che costituendo un simbolo sono a questo punto ormai obiettivi a tutti gli effetti, pareva nascondere una preoccupazione maggiore rispetto a quella che è  l'allerta generale rimasta a livello 2.

Ricordiamo che già nel 2009 la relazione presentata al parlamento dai servizi segreti illustrava un livello preoccupante di adesione da parte di una fascia di popolazione residente in Italia, ai propositi eversivi delle frange fondamentaliste islamiche. E metteva in guardia dal fenomeno ancora più preoccupante della radicalizzazione dei giovani in rete e della propaganda. All'epoca non esisteva Daesh nemmeno come Isil e le prime inchieste degne di nota hanno visto la luce dal 2010 in poi, quando le influenze nefaste dai Balcani e dal Belgio, iniziavano a farsi sentire in maniera significativa.
Anni dopo siamo venuti a conoscenza della kill list messa a punto da Meriem al Rehaily, per la quale qualche settimana fa è stato spiccato un ordine di cattura internazionale a testimonianza del fatto che ormai le indagini su di lei sono state chiuse, e che conteneva nominativi di spicco di appartenenenti alle forze dell'ordine come il generale Gallitelli e l'allora colonnello Governale. Nomi che furono chiaramente presi alla rinfusa dalla ragazza padovana e dal sua amico, e che confermano quanto scritto dal prefetto Gabrielli sulla circolare, che cioè le forze dell'ordine rappresentano un simbolo. In questo clima infuocato la polizia diventa un obiettivo sensibile.
Un ragazzo americano di recente incriminato per supporto materiale a Isis, quando venne in possesso della lista stilata da Junaid Hussein, notò un paio di indirizzi di militari vicini a casa sua. Fece un giro di ricognizione, ma senza pianificare attacchi. Il suo profilo non era tra i più pericolosi ma ciò è difficile da stabilire a priori.

Probabilmente il tono grave usato nella circolare dal capo della polizia, è determinato dalla consapevolezza di un livello di adesione a Daesh, ma anche di malcontento diffuso, ancora maggiore rispetto agli standard stabiliti in precedenza, che unitamente alle vicende di questi giorni, deve per forza di cose orientare verso uno stato di allerta superiore. Non essendoci evidentemente però circostanze specifiche che inducono a pensare che per il nostro Paese il rischio sia maggiore che per altri, allora il prefetto  Gabrielli ha semplicemente suonato la carica ai suoi uomini senza chiedere al ministro di innalzare ulteriormente il livello di allerta generale. Decisione saggia che scongiura un tipo panico di cui in questo momento l'Italia non ha bisogno.

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