mercoledì 27 luglio 2016

Chi mente

"Solo un processo di valutazione riscontri al fine di promuovere il conflitto di attribuzione e fornire al presidente del consiglio tutti gli elementi necessari per delimitare il segreto di stato"

Che l'attuale direttore dell'Aise sia tra quelli che dicono la verità, lo conferma il fatto che per questa verifica, della durata di un pomeriggio ed eseguita dal prefetto Scarpis assieme allo stesso generale Manenti, il quale però non avrebbe rivolto alcuna domanda, non vennero convocati i soggetti incriminati nella inchiesta giudiziaria.
A che pro chiamarli visto che si sapeva che erano loro i responsabili ?
Ma ai fini della delimitazione del perimetro del segreto di stato, era importante stabilire le responsabilità onde evitare ulteriori sorprese.
E i riscontri potevano fornirli solo quelli che lavorarono, non tanto all'operazione Abu Omar quanto al servizio di monitoraggio, di cui l'Agenzia era ufficialmente incaricata, del soggetto in questione e di altri a lui collegati.
Una volta recepita la richiesta da parte del governo americano e della Cia, fu fatta una selezione della squadra del Sismi e a loro fu affidata la logistica dell'operazione. E' questa la versione più credibile che si ricava alla luce delle indagini portate a termine dalla Digos e coordinate dalla procura di Milano. Le prove, per quanto scarse, vanno in quella direzione.
Ai vertici del Sismi vecchi e nuovi, che non possono non sapere e nemmeno tanto bisogno avevano ormai di verificare, non rimaneva che cristallizzare la situazione ai fini della vicenda giudiziaria.
La teoria della seconda squadra è affascinante e vi si può dare anche credito alla luce di quanto abbiamo saputo negli anni scorsi a proposito di agenti dell'Aise che amerebbero mettersi al servizio di russi ed americani , o che avrebbero ampi margini di manovra in scenari esteri e all'insaputa del governo. Ma pare non esserci prova di ciò, in tutto quanto indagato dal procuratore Spataro e dall'attuale Questore di Caltanissetta.


"Le stesse cose mi furono riferite in quell'occasione in maniera più succinta alla presenza del dottor Mancini e anche a me nel corso di una cena, tenutasi qualche tempo dopo,...alla quale fummo invitati sempre dagli stessi due soggetti (vicedirettore Aise e vicedirettore di divisione).... "


"Mancini me ne parlò (cittadino americano presunto appartenente alla Cia) ma non aveva a che vedere sia come tempi che come oggetto, con l'inchiesta"

"Dissi al Mancini di ritirare tale documento in quanto era inutile mettere altra carne al fuoco ..."





"Ritengo però che l'esito di questa istruttoria non fu adeguatamente rappresentata nelle sedi opportune, ovvero nel processo d'appello dove la documentazione che ci venne consegnata dall'Agenzia per depositarla al processo, non conteneva alcun riferimento utile per la nostra assoluzione nonostante le rassicurazioni che avevamo ricevuto dai vertici dell'Agenzia, tant'è che fummo tutti condannati."

"...dopo tentennamenti vari, arrivò a chiedermi di ritirare una lettera che lui stesso mi aveva chiesto di scrivere pochi giorni prima, altrimenti ci sarebbero state ripercussioni istituzionali"



Il dottor Mancini è sicuro che l'esito che gli fu comunicato è quello ufficiale che risulta nella documentazione agli atti dell'inchiesta-verifica ?
Immagino che sia stato tutto registrato.

Chi mente, si è chiesto al termine del reportage sulla vicenda del rapimento di Abu Omar (chiamiamolo per quello che è, e non "pasticcio"), il coraggioso direttore de il Tempo che, quando smette i panni del fustigatore degli islamici, torna a scrivere belle pagine di giornalismo investigativo.

Il dottor Mancini è giustamente deluso dall’esito dell’impiego della lettera, relazione o nota che dir si voglia. Cioè di quello scritto che sarebbe la sintesi di quanto riferito dal cosiddetto cittadino straniero. Io non credo che questo signore non esista o che sia un’invenzione degli imputati per togliersi d’impaccio in vista del verdetto. Che la volontà manifestata da Mancini di testimoniare, dopo che la corte ricevette la lettera del generale Santini, fosse un bluff come scrissero i cronisti di giudiziaria dell’epoca. Piuttosto bisognerebbe interrogarsi sul perché, il funzionario della Cia o presunto tale, si sia rivolto solo a Mancini e Di Troia o perchè l'abbiano scovato loro e non gli altri. Ma per il momento possiamo anche sorvolare.

La delusione del funzionario romagnolo è comprensibile.
Però, a quanto è dato capire, questo suo scritto non confliggerebbe con il segreto di stato e né lo scagionerebbe, perché non fornisce prova diretta dell’innocenza sua e degli altri. Evidentemente dà qualche indizio che può trasferire, forse anche solo in parte, le colpe su altri. Indizio che doveva essere corroborato da riscontri che non sono stati alla fine trovati.
Ma che inizialmente sembrava ci fossero.

Allora la domanda è : a quale scopo è stata usata la relazione ?
Per provare l’innocenza di alcuni, la colpevolezza di altri o per sistemare questioni varie ?
E nelle mani di chi, è finita effettivamente ?

Si spiegherebbe così, l’entusiasmo iniziale con il quale gli emissari dei servizi comunicarono la notizia al generale Pollari . Tra questi c’era presumibilmente Scarpis e non Manenti, posto che i vicedirettori fossero solo due. Non c’era ragione per il generale di andare a fare annunci e celebrazioni. Per quel poco che traspare di lui, Alberto Manenti parla e si muove quando è necessario. E soprattutto, pare essere stato spettatore quasi obbligato della verifica e semplicemente presente a causa della funzione che ricopriva.
L'intera operazione, verifica o inchiesta che fosse, fu diretta dal prefetto Scarpis.

Si spiegherebbe anche, la lettera inviata dal generale Santini a semplice conferma del segreto di stato, ma non di qualche esito nuovo emerso dall’inchiesta/verifica.
In tutta questa storia, ci si è posti forse la domanda sbagliata, partendo dal presupposto che le note di Mancini e Di Troia potessero essere usate al solo scopo di provare l’innocenza degli imputati.
Perché poi, convocare il generale Pollari da solo inizialmente, e di nuovo a cena con Mancini e Di Troia ? E per “maniera più succinta” s’intende che la prima e la seconda versione che gli furono riferite, coincidono nella sostanza seppur non nella forma, oppure presentano delle differenze ?
Tutti dettagli questi, da chiarire per verificare se vi siano state manovre strane attorno a quelle relazioni. Di Troia ipotizza che il governo non sia stato messo al corrente dell’esito dell’inchiesta interna. Ma a che pro farlo, se questa non cambiava l’essenza delle risultanze dell’inchiesta giudiziaria ?

Qui mente, chi sostiene o ha sostenuto per un periodo, che ci fosse una inchiesta interna, perché di quella inchiesta aveva bisogno, ma probabilmente per altri scopi. Venute meno le esigenze dell’inchiesta, è venuta meno anche la necessità che quel documento rimanesse agli atti. Poteva rappresentare un pericolo per se stesso/i, più che per il governo.
Credo che anche Marco Mancini abbia sospettato sin dal primo momento che le cose siano andate così e che la sua lettera non sia stata usata a dovere. Per questo motivo, alla fine di Gennaio del 2013, chiese che venissero sentiti Scarpis e Manenti. Non fu un bluff.
Forse la reazione disperata alla sensazione che qualcuno gli avesse giocato l’ennesimo tiro sporco.
E non c’era altro modo per capirlo o provarlo, se non quello di metterli spalle al muro. Cosa che di certo non poteva essere fatta nell’ufficio all’interno di un palazzo dalle cui cabine telefoniche partono telefonate strane e dal cui parcheggio vengono trafugate auto che ricompaiono dopo aver percorso cinquecento chilometri .



*Gli estratti dei verbali dell'inchiesta di Ravenna sono tratti dagli articoli di Gianmarco Chiocci pubblicati la settimana scorsa dal quotidiano il Tempo.

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