lunedì 8 febbraio 2016

Nel profondo fondo egiziano

Anche l’Aise ha il suo capocentro in Egitto ma, allo stesso modo, al momento non è nelle condizioni di avere collaborazione dagli 007 locali. Un silenzio quasi scontato, in fondo.

La vicenda, piuttosto traumatica, riguarda la rimozione di un caporeparto, l’allontanamento di un direttore di divisione, il trasferimento dalla divisione centri all’analisi di un altro dirigente, una serie di spostamenti (anche se questi ultimi sono stati in tutto una ventina e non 86 com’è stato ipotizzato). Gli interventi del direttore dell’Aise, in realtà, sono stati decisi in base a una serie di accertamenti scaturiti anche da altri uffici istituzionali, non di intelligence. E il clamore sorto a riguardo sembra destinato a sgonfiarsi.


Il Copasir, con Massolo, dovrebbe affrontare anche di nuovo il tema del rischio cyber e i possibili nuovi scenari organizzativi. Ieri è emerso come l’Isis intenda rafforzarsi e rilanciare gli attacchi di cyber war: ha annunciato la nascita di un nuovo gruppo chiamato Affaq (Horizon) Electronic Foundation il cui compito è quello di aumentare la sicurezza e la consapevolezza tecnica tra jihadisti.marco ludovico

Il prolungamento del conflitto siro-iracheno fa si che si espanda anche l'apparato che lo sostiene.
Negli ultimi dieci giorni ci sono stati parecchi movimenti nel panorama cyber. Si è trattato per lo più di fusioni e accorpamenti a sostegno di Daesh. Gruppi formatisi in nome delle battaglie che animano il mondo arabo ed  islamico si sono uniti anche per sostenere la causa del califfato. Un franchising al quale ormai siamo abituati ad assistere anche nelle varie realtà territoriali dove ci sono conflitti armati. A quanto è dato capire dai primi messaggi espressi su Telegram e Twitter e dal video trasmesso su Youtube in cui viene richiamata la figura di Snowden per sensibilizzare circa il livello di controllo raggiunto dai governi, più che ad una azione mirata coordinata, gli appelli di questa nuova formazione a specializzarsi nelle tecniche di "mimetizzazione virtuale" attraverso l'utilizzo di funzionalità che proteggono la privacy in rete, sono anche un modo di attrarre il maggior numero di hackers e appassionati del genere per poi utilizzarli in attacchi specifici. Potrebbe essere il tipo di attività per la quale è impiegata Meriem al Rehaily, la ragazza di origini marocchine fuggita da Padova verso la Siria circa un anno fa.
Il direttore Massolo dovrebbe invece riferire al Copasir di questioni di maggior livello.

Il nostro capocentro in Egitto non dovrebbe aver sprecato molto tempo nel cercare di contattare i suoi referenti istituzionali. Sapeva benissimo che sarebbero state le ultime fonti utili dalle quali attingere informazioni. D'altro canto stiamo parlando di una persona a capo dell'attività di intelligence (quindi non di polizia giudiziaria) di uno snodo tanto delicato quanto problematico. Già nel momento in cui sul suo tavolo è transitata la pratica di iscrizione all'Aire del dottor Regeni, deve essersi subito attivato per cercare di inquadrare il soggetto. Agli investigatori in arrivo dall'Italia un responsabile dell'Aise ma anche l'Ambasciatore, dovrebbe essere in grado di riferire quali fossero le criticità associate alla presenza di Regeni in Egitto e agli ambienti a cui egli si relazionava. Un profilo del genere non passa inosservato.
Non c'è da aspettarsi molto dalle investigazioni nè dall'intervento degli Stati Uniti che dovrebbero sollevare la questione nel corso degli incontri al vertice che si terranno in questi giorni.
Dal momento che l'omicidio è avvenuto circa una settimana dopo la visita di John Brennan che aveva il preciso scopo di stimolare al Sisi su determinate tematiche (collaborazione nella lotta al terrorismo, affidabilità degli apparati di sicurezza locali) gli americani vorranno sfruttare l'evento delittuoso per tornare a fare la voce grossa. A questo punto converrebbe muoverci nella stessa direzione. Non otterremo granchè sotto l'aspetto della verità e della trasparenza. Tanto vale cavalcare l'onda per mettere dei paletti nel rapporto con al Sisi.

Il ridimensionamento delle vicende di cui abbiamo saputo in questi giorni e la consapevolezza che esse si sono sviluppate anche grazie ad un buon grado di coordinamento tra vari settori della pubblica amministrazione, oltre che alla sapiente regia del generale Manenti, non sollevano i dubbi relativi ad alcuni movimenti effettuati secondo quanto è stato scritto dai giornali.
Uno per tutti, il cambiamento avvenuto alla direzione del centro di analisi. Dai pochi elementi a disposizione si intuisce che a capo di quel dipartimento ci fosse una persona che ha compiuto studi mirati in materia di questioni medio-orientali, che quindi conosce le lingue (inglese ed arabo) e che dovrebbe essere anche giovane rispetto alla media dei funzionari che occupano posizioni di quel tipo ( una cinquantina d'anni). Anche donna, che nel Paese dove il velo è visto solo come simbolo di oppressione, ci sta bene. La scelta di Nicola Boeri però, un capocentro quindi con un'esperienza ed una impostazione ben diverse, pare andare in direzione completamente opposta.
Non si capisce allora di che natura siano stati gli accertamenti incrociati condotti assieme ad uffici estranei all'ambiente dell'intelligence e anche di che entità o gravità.
E soprattutto secondo quali criteri viene scelto il direttore di un comparto chiave come quello delle analisi.

Questi episodi, sempre più frequenti e di clamore ingiustificato, non giovano alla serenità delle persone che lavorano al servizio della comunità e tantomeno al grado di fiducia che il comune cittadino ripone in loro.
Bisognerebbe agire in maniera da cambiare la sostanza più che la percezione.

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