sabato 26 dicembre 2015

I'll give it to someone special

Sheikh Mohammed Al Arefe, a torto ritenuto personaggio controverso o istigatore d’odio, si è mostrato alla fine il più moderato tra i protagonisti della querelle annuale sulle celebrazioni natalizie. Non ha vietato ai musulmani in occidente di festeggiare perché la tradizione della nascita del Dio cristiano è in netta opposizione con la concezione islamica di Gesù profeta nella serie che va da Adamo a Muhammad e non divinità incarnata in un corpo umano. Il sapiente saudita ha semplicemente sconsigliato ai musulmani europei ed occidentali in generale di unirsi ai festeggiamenti per non trovarsi coinvolti in pratiche che risultano essere contrarie alla religione islamica come il bere alcohol, danzare o ascoltare musica e assistere a manifestazioni politeistiche. Ha cioè raccomandato di non allontanarsi dai dettami religiosi ai quali i musulmani devono attenersi.
Che è poi la regola che molti di noi adottano in vista delle celebrazioni messe in atto da famigliari e amici. Si partecipa nella misura in cui ci è permesso di astenerci da conversazioni o comportamenti contrari alla nostra religione.

Ha avuto larga eco anche in Italia la proibizione indetta dal sultano del Brunei di esporre simboli natalizi e di festeggiare la natività in pubblico. E ovviamente anche da noi questa iniziativa è stata
strumentalizzata dai soliti fomentatori d’odio.
In realtà la decisione del sultano è riconducibile ad una situazione molto complessa e va inquadrata in una più ampia risoluzione adottata dal sovrano l’anno scorso di istituire la legge islamica come legge dello stato secondo un programma che prevede tre fasi di implementazione. Alla base di questa decisione sembra esserci una crisi legata essenzialmente alla dipendenza economica del sultanato dalle riserve energetiche. La Sharia in quanto legata alla finanza islamica dovrebbe favorire tra l’altro l’ingresso di investitori stranieri provenienti dai Paesi arabi e contemporaneamente consente una stretta sul controllo dei movimenti della popolazione che inizia a mostrarsi insofferente nei confronti di un regnante che non rinuncia ad esaltare le sue enormi ricchezze.
Il sultano del Brunei sta compiendo il percorso inverso proprio rispetto alle monarchie del Golfo con le quali vorrebbe incrementare rapporti diplomatici e commerciali. Mentre queste hanno capito da tempo che la via per prevenire il dissenso e quindi anche per evitare l’isolamento dei loro Paesi sta nel concedere più diritti e libertà al proprio popolo oltre che nel procurare lavoro stabile, Hassan Bolkiah ha deciso di fare un passo indietro temendo forse il peggio. La proibizione di celebrazioni pubbliche estranee alla tradizione islamica è tesa a rinforzare questo stato di cose. Tanto più che pare che la cadenza stabilita per completare l’introduzione della sharia sia in netto ritardo visto che non è facile abituare popolazione ed istituzioni ad un cambio così deciso.

Per quanto riguarda la Somalia invece, Paese in cui la massa cristiana è numericamente insignificante, la decisione di proibire qualsiasi tipo di manifestazione religiosa o culturale in contrasto con le tradizioni islamiche, è dovuta esclusivamente a motivi di sicurezza. Evitare qualsiasi tipo di frizione o provocazione che possa istigare attentatori suicidi o attacchi mirati da parte di al Shabaab è il minimo che si possa fare in un momento tanto delicato.
Poco più di un centinaio di migliaia di cristiani vivono in Tajikistan, Paese che vieta non solo manifestazioni pubbliche legate alla celebrazione del Natale ma anche qualsiasi sorta di evento che potrebbe aizzare gli animi e ricordare l'epoca sovietica. Halloween e Carnevale sono proibiti mentre è incoraggiato tutto ciò che risveglia lo spirito patriottico come ad esmpio le competizioni sportive.

Insomma presepe e babbo Natale sono proibiti in certi Paesi per motivi del tutto estranei a questioni religiose . Un pò come qui da noi si strumentalizza il richiamo alla tradizione e alle radici in funzione ideologica e politica.

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