Questo ragazzo – nom de guerre di Anas al Italy (Anas l’Italiano) – infatti aveva creato un blog, Sharia4Italy, con cui manteneva contatti con i vertici del movimento islamico ultra radicale pan-europeo Sharia4, stanziati in Belgio. Arrestato, nella sua abitazione a Vobarno, nel giugno dello scorso anno per addestramento con finalità di terrorismo, Anas al Italy era stato rimesso in libertà dal tribunale del riesame dopo circa un mese di detenzione. L’autorità giudiziaria, pur avendo riconosciuto le sue posizioni radicali, aveva infatti ritenuto che questi non fosse in procinto di attuare concreti programmi di violenza.Claudio Galzerano Marzo 2014
Proprio per quanto concerne il ruolo del Web, nelle strategie dei gruppi riconducibili al fondamentalismo islamico è emerso la piena consapevolezza che per assicurare la divulgazione delle proprie ideologie e il reclutamento dei militanti, anche dei foreign fighters e finanziatori, è necessaria la costante presenza attiva nello spazio cibernetico. Un salto di “qualità” comunicativa messa in atto soprattutto dall’ IS, che proprio per questo si avvale di propri siti web per la divulgazione di video riguardanti operazioni jihadiste oppure contenenti dichiarazioni politiche e “fatwa” (pareri e indicazioni) religiose. Roberto Di Legami Febbraio 2015
C’è un filo sottile ma pesante che lega Anas ad Abdelhamid Abaaoud ritenuto la mente degli attacchi di Parigi. E’ la Libia.
Anas a Marzo del 2012 si recò in Questura per chiedere il permesso di organizzare una manifestazione di protesta contro un film che dipingeva la figura del Profeta Muhammad in maniera negativa e poco aderente alla realtà storica. Nel settembre dello stesso anno sempre a causa del film di Bacile il nord Africa fu scosso da una serie di contestazioni molto violente contro le rappresentanze diplomatiche degli Stati Uniti. Gli attacchi che videro la morte tra gli altri dell’Ambasciatore Stevens in Libia furono orchestrati da Ansar al Sharia. Si tratta di un gruppo ben radicato nel Maghreb e nella Libia del post-Ghaddafi dal quale nello stesso anno si originò una fazione chiamata Katibat al Battar al Libi. Anche questa come le altre che hanno stretto un patto di alleanza con Daesh, fa la spola tra la Siria e il nord Africa per svolgere addestramenti e rifornire di armi i combattenti.
Era con questo gruppo che Abdelhamid Abaaoud e un nutrito battaglione di belgi incluso il fratello tredicenne combattevano in Siria. Difficile dire come sia venuto a contatto con loro. Si è parlato di alcuni suoi viaggi in Algeria ma anche il soggiorno in prigione avrebbe potuto favorire l'interazione. Soggiorno durante il quale Abdelhamid si sarebbe radicalizzato. Il passo da piccolo delinquente a giustiziere dell’Isis si è compiuto attraverso un ritorno all'Islam, lui che apparteneva ad una famiglia non praticante, nella sua forma più estrema legata ad ideologie di stampo nazi-fascista che si servono della religione come giustificazione.
Anas ed Abdelhamid hanno in comune un grande rabbia inesplosa la cui ragion d’essere sta nella vita trascorsa in nazioni che pur vedendoli crescere sono fortemente ostili nei confronti di quelle generazioni e che ha trovato una sponda amica nei rigurgiti nazionalistici violenti del nord Africa e del medio-oriente.
Dopo gli attacchi di Parigi si è tornato a parlare di un testo molto conosciuto dagli affiliati di al Qaeda che risale a più di un decennio fa chiamato the management of savagery. Scritto da uno dei leader dei gruppi qaedisti che confluirono in Daesh, il documento sintetizza gli snodi attraverso i quali la violenza si sviluppa : il nazionalismo, il fervore religioso, la voglia di riscatto. Un concentrato di odio giustificato da una interpretazione forzata del Corano.
La logica che lo attraversa spiega anche la campagna mediatica che fa da sfondo alla guerra portata avanti da Daesh.
La violenza come mezzo per raggiungere la serenità e la stabilità.
E' con l'alternanza di immagini di massacri e interi nuclei famigliari giunti in quel di Raqqa che Daesh fa leva sulle coscienze dei potenziali foreign fighters. Ragazzi che non hanno nulla da perdere nel partire ed uccidere se la ricompensa finale è una vita serena nel califfato dove tutto è a misura di musulmano.
Paradossalmente, visto che la censura delle immagini cruente a giudicare dal numero crescente di foreign fighters non ha sortito effetti, converrebbe cancellare quelle bucoliche delle famigliole felici approdate nel califfato e lasciare quelle dei massacri. In questo modo i giovani si renderebbero conto della realtà.
A dispetto della tecnologia e del bagaglio di conoscenze accumulate nel corso di decenni, quello che le forze dell'ordine e l'intelligence possono fare per contenere almeno il fenomeno è molto poco.
Non ci troviamo più al cospetto di una banda di ribelli ma di un esercito ben organizzato e con un piano preciso. Stabilire la propria base tra Iraq e Siria.
Per fare ciò possono contare sulle frizioni tra blocco sciita e sunnita in medio-oriente, sulle ceneri delle primavere arabe e sulle fragilità occidentali.
Se non interveniamo su queste criticità nemmeno il controllo di tutte le chat e delle playstation del mondo risolverà i nostri problemi.




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