I sostenitori del pubblico ministero di Palermo Nino Di Matteo tornano alla carica in questi giorni per sollecitare l’adozione del cosiddetto bomb jammer.
Si tratta di un dispositivo in grado di bloccare una vasta gamma di frequenze associate alla detonazione di esplosivi.
Un bomb jammer non è però una bacchetta magica che blinda tutti i problemi legati alla sicurezza di una personalità di spicco.
Deve essere preso in considerazione assieme ad una serie di fattori contingenti legati al suo uso.
Nel corso delle fasi di preparazione ai giochi olimpici di Sochi in Russia il generale Barbero a capo della taskforce americana specializzata in improvised explosive device mise subito in chiaro che non avrebbe mai reso disponibile per i colleghi russi l’intelligence sviluppata dal suo gruppo in materia.
Se qualcuno entra in possesso dei meccanismi studiati per il nostro jamming disse, può facilmente disattivarli.
Le prime tecniche per contrastare l’azione di un jammer furono studiate e messe a punto all’inizio degli anni ottanta dall’Ira che le perfezionò successivamente assieme ad altri gruppi terroristici sparsi attorno al mondo dalla Colombia alla Libia.
Questo è un altro elemento di cui tenere conto :
nello stesso modo in cui i governi occidentali investono milioni nello studio di piani di contrasto al terrorismo, i gruppi criminali agiscono di pari passo.
Così facendo vengono favorite le interazioni tra componenti criminali di natura e locazione geografica diversa.
Come sottolineato dal ministro Alfano che si preoccupava dei portatori di pacemaker, il jammer interrompe le comunicazioni in un’area a vasto raggio.
Non siamo in Iraq o Afghanistan, Paesi ricchi di zone desertiche o poco abitate.
A seconda della schermatura scelta, se vengono interrotte le comunicazioni tra attentatori vengono bloccate anche quelle tra comuni cittadini in grado di fornire preziose informazioni alle forze dell’ordine circa movimenti strani precedenti al passaggio del convoglio che accompagna il soggetto protetto.
Una delle soluzioni che potrebbe prendere in considerazione la mafia è quella degli attentatori suicidi che permette secondo gli esperti, di aggirare l’ostacolo jammer.
Potrebbero servirsi di extra-comunitari ad esempio.
E ad un certo punto altre personalità o le stesse forze dell’ordine nel resto d’Italia, così come è accaduto per i droni, potrebbero richiedere un uso limitato della tecnologia del jammer.
Quello che bisogna prendere in considerazione quando ci sono delle evoluzioni nei sistemi di protezione e sicurezza pubblica è che questi determineranno un cambiamento a livello operativo per la sicurezza nazionale ma anche culturale nell’intero Paese.
Il jammer non deve essere un rimedio dettato da esigenze di emergenza ma una soluzione a lungo termine.
Quindi bisogna studiarne l’utilizzo sotto tutti i punti di vista.
Ha di certo salvato centinaia di vite in zone di guerra ma potrebbe anche averne messe in pericolo.
La famiglia di un soldato australiano addetto alla gestione di questo tipo di dispositivi in Afghanistan e morto di cancro al suo ritorno a casa, si dice sicura del legame tra le due cose.
Ci sono accertamenti da svolgere ma il dubbio rimane.
Insomma se mettiamo sul tavolo le soluzioni che un normale programma di protezione prevede, e il dottor Di Matteo le ha proprio tutte a sua disposizione, questo risulterebbe più efficace di un bomb jammer.
E infine c’è da dire che l’Italia tantomeno la Sicilia, non è il Libano.
Però la mentalità sembra andare purtroppo in quella direzione.
La cultura del sospetto è sbagliata.
Io voglio credere che dal presidente del consiglio al capo della polizia passando per i servizi di informazione, tutti facciano del loro meglio per proteggere non solo Di Matteo ma l’Italia intera.
Non mi piacciono questi continui attacchi alle istituzioni che sono solo attacchi indiscriminati all’ Italia.
E non voglio essere contagiata da questa antimafia sempre più anti-italiana.

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