giovedì 25 dicembre 2014

Le sfide di al Sisi

Ciò di cui ha più bisogno l’Egitto è stabilità.
A livello economico molto si sta facendo attraverso riforme e partnership commerciali di vecchio e nuovo stampo.
La stabilità politica rimane l’incognita di sempre .
Il presidente egiziano è alla ricerca di un nuovo assetto nel contesto regionale ed internazionale che gli consenta di rendere solida la realtà interna.
E’ sotto questo profilo che vanno analizzate la recente uscita in Cina e il tentativo di dialogo con il Qatar mediato dagli stati del Golfo persico.
L’Egitto ha bisogno di  una sua autonomia che gli consenta il pieno controllo delle dinamiche interne .
Questo corso richiede da un lato l’allontanamento dall’America di Obama sempre a caccia di sudditi più che di alleati in medio oriente e dall'altro legami con nazioni che essendogli vicine per cultura e tradizione nonchè interessi riescano a comprenderne sfide e problematiche oppure con Paesi che non aspirano ad influenzarne i processi politici.
E’ in quest’ottica che va inquadrato lo storico incontro tra al Sisi e l’inviato dell’emiro del Qatar preceduto dal cambio al vertice della sicurezza interna egiziana .

Si è molto speculato sulle vere ragioni che hanno portato alla sostituzione del generale el-Thoamy con Khaled Fawzy .
Entrambi sono noti per la loro intransigenza nei confronti delle derive eversive costituite dalla fratellanza musulmana.
Ciò che ha spinto verso il rinnovo del vertice dell’intelligence potrebbe innanzitutto aver avuto origine nello smalto perso da el Thoamy che ha informato poco e male il suo presidente degli umori della piazza.
Negli ultimi mesi la crescente insoddisfazione della popolazione è sfociata in manifestazioni che rischiano di annullare gli sforzi del governo.
E l'intransigenza poco si confà con il bisogno di dialogo che c'è in Egitto al momento.
Poi ci sarebbero diversità di vedute rispetto al rapporto con l’autorità palestinese.
El-Thoamy è inflessibile sul fatto che l’Egitto debba appoggiare in maniera concreta Mahmoud Abbas mentre al Sisi è un convinto sostenitore di Dahlan.
Questa questione è stata motivo di diverse frizioni .
Un paio di settimane fa ci sarebbe stato inoltre un incontro non andato a buon fine tra l’ormai ex capo dell’intelligence egiziana e il ministro dell’interno saudita.
Sarebbero stati propri i sauditi fautori della mediazione con il Qatar, a spingere per il cambio al vertice dei servizi.
Poi c’è la vicenda delle intercettazioni telefoniche con protagonisti alcuni importanti membri della sicurezza interna, tra questi Mamdouh Shaheen, alla ricerca di finte prove da portare al processo contro Morsi.
Insomma c’è una serie di controversie scomode che ha indotto il presidente egiziano a dare il benservito ad el-Thoamy.

Sul versante arabo il tentativo di mediazione saudita ha l’obiettivo di tentare un approccio migliore al conflitto siriano.
Ciò richiede l'isolamento dell’Iran e quindi un intervento deciso sulla belligeranza di Hamas.
Questo processo passa per forza di cose attraverso il Qatar che comincia a soffrire l’isolamento all’interno della coalizione del Golfo.
Non si può prescindere quindi dall'inserirvi anche l'Egitto.
Il ritorno delle rappresentanze diplomatiche di Arabia Saudita ed Emirati Arabi in Qatar e l’allontanamento da parte del governo dell'emiro di membri della fratellanza musulmana fanno ben sperare nell’esito degli incontri che sono in preparazione.
Questi avvicinamenti favoriranno inoltre un ulteriore isolamento della Turchia ed un miglioramento della situazione in Libia.
Sarà importante anche il ruolo giocato dall’Europa che dovrebbe essere a favore.
Rimane l’incognita americana.
I consiglieri di Obama potrebbero non gradire questa compattazione araba e al solito opporre resistenze.
Dovrebbero però comprendere che è la strada più conveniente per arginare l’avanzata di Daash e risolvere o contenere il conflitto siriano.

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