venerdì 26 dicembre 2014

Intelligence sconfitta tra segnali persi e valchirie

Non mi viene in mente un singolo caso nel corso della mia carriera, che mi permetta di dire che abbiamo impedito un attentato esclusivamente sulla base di segnalazioni di intelligence.
Charles Faddis, ex funzionario Cia

Qualche settimana fa è stata costituita in seguito ad iniziativa italiana, una taskforce europea anti-terrorismo con competenze specifiche per tutto quello che riguarda il capitolo foreign fighters .
Sbirciando nella lista dei Paesi che hanno aderito si noterà che sono pochi e di importanza secondaria rispetto all’impegno.
Se da un lato non si può negare che si tratta dell’ennesima trovata per lasciare una traccia del semestre di presidenza italiana in seno all’Unione Europea, dall’altro è inevitabile ricordare come nei momenti di massima allerta i governi dei Paesi maggiormente esposti si lancino in proclami di iniziative tese a combattere il terrorismo internazionale per poi puntualmente dimenticarli.
L’information sharing di cui va tanto di moda parlare era uno dei cardini del pacchetto di leggi esposto da David Cameron alla camera in estate.
Eppure l’Inghilterra pare non aver ancora aderito al progetto allestito dal prefetto Piantedosi.
La condivisione dei dati tra forze di polizia ed agenzie di sicurezza può essere un’arma a doppio taglio e deve essere comunque usata in maniera consapevole.

L’attacco terroristico di Mumbai nel 2008 vide protagonista in qualche modo anche l’Italia quando un gruppo di pachistani residenti a Brescia mandò soldi nella propria terra di origine .
La mente digitale degli attentati era Zarrar Shah, un tecnico informatico legato al nucleo terroristico Lashkar e-Taiba e all’Isi potente servizio d’intelligence del Pakistan che muove questi gruppi a seconda delle esigenze.
A metà del 2008 ritennero necessaria una escalation delle tensioni con l’India e quindi ordinarono la pianificazione dell’attacco.
Shah iniziò a muoversi cercando obiettivi su Google earth e approntando un circuito di comunicazione che gli permettesse di sfuggire ai controlli.
Grazie ad una società americana specializzata in questo tipo di servizi, le chiamate effettuate dal suo computer risultavano essere in partenza dal New Jersey.
I soldi inviati dall’Italia servivano (all’epoca il nostro anti-terrorismo allertato dai colleghi americani non si disse sicuro della piena consapevolezza dei pachistani) appunto a pagare quel circuito di Voip. Essendo soggetto noto alle autorità locali e a quelle collegate, i suoi movimenti telematici non sfuggirono comunque al GCHQ inglese né ai servizi indiani impegnati entrambi in un monitoraggio continuo.
A partire dal 2007 la moglie di Daood Sayed Gilani immigrato in America con il nome di David Coleman Headley segnalò all’Fbi i continui viaggi in Pakistan del marito (almeno tre) con lo scopo di addestramento e pianificazione di attentati terroristici.
 Headley era noto all’intelligence americana in quanto informatore della Dea.
Si sussurra che fosse qualcosa di più : agente doppio per l’America e per l’Isi.
Gli americani erano a conoscenza degli scambi di comunicazioni tra Headley e Shah .
Alla fine però le uniche indicazioni che inglesi ed americani inviarono ai colleghi indiani a metà settembre del 2008 furono di alzare l’allerta su possibili obiettivi di attentati.
Tra questi c’era anche il Taj hotel che venne colpito in Novembre.
Oggi il Nytimes e Propublica accusano le intelligence dei tre Paesi interessati di aver trascurato segnali importanti e soprattutto di non averli condivisi.

“i love the Black American Muslim at AQ camps in Afghanuistan (sic). … Mukie (K.S.M.) is going to be hatin’ life on this one,”

Dopo la pubblicazione del rapporto sulle torture l’attenzione della stampa internazionale è tornata a concentrarsi su una figura controversa della Cia il cui nome e ruolo erano stati già svelati nel 2011 da un reportage giornalistico dedicato agli sforzi profusi dall’agenzia per la cattura di Osama bin Laden. Alfreda Frances Bikowski sarebbe responsabile oltre che di aver mentito al congresso su scopi e risultati delle rendition, di aver commesso una serie di errori interminabili che hanno portato alla cattura di persone sbagliate e al fallimento della previsione degli attacchi alle torri gemelle.
Per farla breve si tratterebbe di una persona totalmente incapace di analisi e valutazioni, che però è stata premiata con promozioni continue e messa a capo dell’unità speciale jihad globale.

Al di là delle efferatezze che avrebbe compiuto questa donna e degli errori della intelligence in generale ci si dovrebbe interrogare e correggere alcuni elementi che possono concorrere ad un fallimento globale come quello di Mumbai.
Forse ciò di cui pecca l’intelligence oggi è un’analisi legata sempre agli stessi schemi.
Un errore ad esempio potrebbe essere considerare la al qaeda odierna alla stregua di quella del passato o non essere in grado di comprenderne le diversità rispetto a Daash.
E’ lo stesso tipo di fraintendimento nel quale si incorre quando si parla di mafia capitale e mafia siciliana.
L'analisi di un fenomeno criminale è diversa a seconda che lo si esamini sotto un'ottica investigativa o giudiziaria.
Anche se appare evidente inoltre che non si può non affidarsi ad agenti doppi o attori esterni, le situazioni di oggi molto più complicate e variegate di quelle di alcuni decenni addietro impongono una più oculata gestione di questi individui e degli schemi in cui vengono inseriti.

Ciò di cui avrebbe bisogno la comunità di intelligence nella sua interezza sono riflessioni che portino a determinati tipi di cambiamenti .
Potrebbe tornare utile anche ai governi che se ne servono.
L’intelligence attualmente sembra essere invecchiata di colpo nonostante continui make up a base di tecnologia.
Serve invece un cambiamento di mentalità e sostanza.


Foto Peter Moses

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