venerdì 21 novembre 2014

Uomini d'altri tempi

"...Bruno Paolo Amicarelli, cinquant'anni in toga quasi interamente vissuti in Abruzzo, chiusi da poche settimane sul gradino più alto della pubblica accusa : procuratore generale d'Abruzzo e, prima, pretore e pubblico ministero a Vasto, Lanciano, Pescara, Larino, Chieti.
Magistrato di razza, accusatore per vocazione. Un testimone privilegiato di mezzo secolo di storia patria osservato dall'angolo di visuale dei molti vizi pubblici e privati." (Paolo Mastri, il messaggero Febbraio 2009)
estratto da Gli Amicarelli di San Buono Bruno Paolo Amicarelli Edizioni Liberatore



Il procuratore Amicarelli, professionista conosciuto e stimato anche al di là dei confini dell'Abruzzo, per me è semplicemente lo zio Paolo.
Uomo di stato rigoroso e inflessibile. Dallo spirito vivace e battagliero.
E' padre di famiglia e marito di una zia adorata della quale mi onora portare il nome luisa e qualche tratto caratteriale, e che vivrà per sempre nei ricordi di quanti come me l'hanno conosciuta.
Dopo mio padre, mio zio è sicuramente la figura maschile che ha costituito un riferimento importante per la mia esistenza.
La decisione di dare alle stampe un libro che raccogliesse le sue memorie e la ricostruzione della storia della famiglia Amicarelli che è anche storia d'Abruzzo e d'Italia mi ha inorgoglito e ha rafforzato la mia identità fatta di vicissitudini e anime diverse.


Dilettandomi a scrivere di questioni giudiziarie e vicende criminali, a volte capita di conoscere alcuni dei protagonisti che le animano.
Uomini di legge la cui dedizione ed umanità richiamano il carattere di mio zio .
Eppure nessuno di loro da solo, riesce ad incarnare l'essenza di Paolo Amicarelli.
Forse perchè si tratta di uomo cresciuto e formato in altra epoca.
Un'epoca in cui i suoi genitori andarono a casa della futura sposa per chiedere ai genitori di lei di poterla presentare al resto della famiglia.
Un'epoca che lo vide artefice della storia giudiziaria.
Un paio d'anni fa venne bloccato in Puglia un uomo originario di Torino di Sangro riuscito a fuggire dal carcere per ben due volte. Nel 1968 si era reso responsabile di un omicidio in Belgio.
Scappato in Italia, fu arrestato a Lanciano dove mio zio era sostituto procuratore.
Essendo necessario ascoltare i testimoni che si rifiutavano di viaggiare oltreconfine, andò lui assieme ad un collega a Charleroi e lì si trattenne per quaranta giorni.
Fa quasi tenerezza leggere di uno dei primi esperimenti di assistenza giudiziaria , in un'epoca in cui mandati d'arresto internazionali ed estradizioni sono ormai all'ordine del giorno ma non si riesce ad imporre norme antimafia in altri stati europei.
La fermezza e la forza d'animo dell'uomo di legge non riescono a fare scudo ai sentimenti.
Tra i vari ricordi racchiusi nel libro fa capolino quello della notizia dell'uccisione del giudice Alessandrini che raggiunse mio zio mentre era impegnato in una udienza al tribunale di Pescara.
Spicca anche la vicenda giudiziaria che colpì lui, ma soprattutto noi della famiglia, quando  un ufficiale della guardia di finanza lo accusò di aver tentato di insabbiare un'inchiesta che vedeva protagonisti alcuni politici locali di livello e che poi si allargò su scala nazionale.
La stampa ovviamente ci sguazzò.
Si scoprì poi che la storia era di tutt'altro tenore.
Quell'ufficiale qualche anno dopo venne arrestato per vicende ben più torbide.
Mio zio ne uscì a testa alta con una archiviazione eppure pagò un prezzo molto caro.
Lo stress gli causò problemi di salute ma combattivo come sempre si rialzò.
Non mi stupisce che ne parli ancor oggi con la lucidità e la serenità che lo contraddistinguono.
Ha chiuso la carriera con onore come procuratore generale alla corte di appello de L'Aquila.
Fiero del suo essere pubblico ministero, non volle nemmeno chiedere di essere nominato presidente della corte.
Quando lo chiamai dall'Oman per fargli i complimenti e ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto per noi cittadini, mi rispose con la consueta umiltà che aveva cercato di fare del suo meglio ma che magari avrebbe potuto fare di più.

La storia degli Amicarelli originari di Agnone nel Molise e poi in parte trasferitisi a San Buono, ridente paese del chietino, viaggia sugli stessi binari di quella nazionale tra papati, guerre e terrorismo.
E' una storia fatta di caratteri forti, uomini che al solo sentire il figliolo commettere un errore di grammatica, lo spingevano giù dalla carrozza costringendolo a piedi alla meta perchè convinti che "i somari devono andare a piedi".
E' storia di scienza e di coscienza.
Don Peppe Amicarelli padre di mio zio, era medico noto per le sue diagnosi inappellabili.
Si andava da lui anche da paesi lontani per chiedere aiuto perchè si era certi che don Peppe avrebbe stanato la malattia e garantito la cura.
Chi non aveva possibilità di pagare veniva curato gratis e andava in farmacia con la certezza che il farmaco gli sarebbe stato dispensato a costo zero perchè se ne era già fatto carico don Peppe.
Uomo di poche parole ma di molti fatti, era uno studioso ed inquisitivo sin dalla più tenera età.
Deciso a scoprire se fosse veritiera l'affermazione che il prezzemolo contiene una sostanza nociva per i pappagalli, quand'era ragazzino usò come cavia il pennuto della sorella.
L'esperimento riuscì con buona pace del pappagallo che passò a miglior vita.

Una tradizione quella degli Amicarelli, che si perpetua anche tra le giovani generazioni.
Leggendo la caratterizzazione che mio zio ha fatto dei suoi nipoti, ho ritrovato lo spirito degli antenati ma anche quello dei più giovani, i miei cugini loro genitori.
Spero che questo libro esca dai confini della nostra famiglia e vaghi tra le giovani generazioni affinchè queste ne possano trarre ispirazione sul come essere artefici del proprio futuro e di quello della comunità a cui appartengono.



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