Se un normale cittadino o anche un poliziotto di quelli che incontriamo quotidianamente per strada avesse avuto a che fare con uno solo dei casi con i quali si è cimentato il dott. Ceccaroli in qualità di investigatore nel corso della sua lunga carriera in polizia scientifica prima e nel comparto postale in seguito, di certo sarebbe andato fuori di testa o per lo meno avrebbe cambiato mestiere.
Sopportare il proprio dolore e conviverci è già duro di per se.
Confrontarsi con quello degli altri ed illudersi che scoprirne le cause ed assicurare alla giustizia chi lo ha provocato possa almeno in parte contribuire a lenirlo, può essere ancor più terribile.
Geo Ceccaroli più che un personaggio è un campione di umanità che riesce a trarre vantaggio anche dai propri difetti.
Al di là del supporto di tipo psicologico messogli a disposizione dal dipartimento, di certo lo sorregge una buona dose di ottimismo in parte innato ma anche conquistato e derivatogli dalla consapevolezza che quando si è di fronte alle atrocità umane non si può soccombere e per sopravvivere bisogna riuscire a trovare il lato positivo anche nei cosiddetti mostri o nelle tragedie da questi messe in atto.
Le ultime interviste rilasciate dal dott. Ceccaroli vanno di pari passo con quella recente del dott. Sorgonà che in una sorta di sfogo se la prendeva con l’ingenuità degli utenti, e lanciano un grido di allarme verso altri settori della società che a tratti collaborano con la polizia postale.
Il lavoro di rete che ha fatto raggiungere risultati soddisfacenti alla polizia di stato nella lotta contro la criminalità organizzata o nello scoperchiare il versante sommerso del mondo degli abusi sulle donne, sembra non riuscire a decollare a pieno nell’universo della polizia postale.
Pare quasi che a fronte di un numero sempre maggiore di indagini e campagne di sensibilizzazione, aumenti in maniera considerevole anche la vulnerabilità a certi tipi di crimine.
La chiave di lettura del fenomeno sta appunto nella parola alibi usata dal dirigente.
Mentre per tutto ciò che riguarda il crimine sul territorio il cittadino riesce a rendersi conto di quanto importante sia il ruolo giocato dalla cultura e dalla mentalità complici nel generare quel disagio sociale che poi sfocia in attività criminali e quindi di quanto fondamentale sia anche il proprio coinvolgimento nel cambiare quello stato di cose, spesso il genitore che anche viene a contatto con la polizia nel corso di campagne di prevenzione, non solo non riesce a cogliere il legame tra il mondo reale e quello virtuale, ma vede il tutto risolto nell’ambito della tecnologia.
Quindi da un lato non percepisce il peso dei comportamenti che dal mondo reale vengono traslati verso quello virtuale e dall’altro dà per scontato che la soluzione ai problemi che sorgono su internet sia di tipo semplicemente tecnologico.
Che cioè basti controllare lo storico del browser dei figli e raccomandargli cautela nell’esposizione dei propri dati sui social.
Quel cambio di cultura che il dott. Ceccaroli auspicava in un suo precedente intervento deve tradursi in un cambiamento di atteggiamento del genitore che spesso percepisce il supporto fornito dallo stato attraverso insegnanti, polizia e psicologi, più come un invito alla deresponsabilizzazione che alla cooperazione.
Evidentemente nell'immediato non si riesce a comprendere che la lesione "virtuale" può danneggiare allo stesso modo o anche in misura maggiore di quella reale.
E' per quello che non ci sente coinvolti anche se genitori e si tende a demandare alle istituzioni.
Bisognerebbe comprendere che un insulto può far male più di un colpo di lupara.

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