parla Ciancabilla: "Bologna, una città di morti viventi che vanno in giro per negozi"
Mi ricordo Lucia, una ragazza di Lecce, stava dalle suore come me.
Era carina, dolce, di buona famiglia.
Un po’ taciturna e malinconica forse, ma buona d’animo. Studiava al Dams.
Tutte noi ci chiedevamo come potesse, una di classe come lei, frequentare quel posto, ricovero di folli e anarchici.
Noi Abruzzesi poi, che a metà degli anni ottanta partivamo per Bologna, lo facevamo con lo spirito di quelli che andavano a studiare nella città dei misteri, la città dove il nostro compaesano aveva ammazzato (forse) la sua professoressa.
Era un mito alimentato da chiacchiere nei bar e salotti pescaresi, e dai racconti di chi ci era stato già, in quel di Bologna la grassa.
Il mito alla fine si sfatava da se, quando scoprivamo che in fondo, quella era una città come tante, solo più grande, più caotica, più complessa.
Come tutte le cose grandi, Bologna la si comprende se la si piglia a piccole dosi e per il verso giusto.
E’ un posto dove mille contraddizioni, più o meno grandi, convivono.
Ecco, convivere, è la chiave di tutto:
mentre nelle altre città d’Italia le contraddizioni fanno a botte e periscono, a Bologna esse lottano per vivere assieme.
E’ questa la differenza che la rende grande, anche se a volte la fa sembrare un mostro a dieci teste.
Come tutte le città italiane è diventata una città vetrina, per zombies che vanno a fare shopping o che vanno a mostrarsi in locali di moda.
Molto diversa dalla Bologna che amavo, piena di fermenti culturali, di creatività, di lotte sociali.
A volte si percepiscono le cose in maniera differente, anche in base a come siamo cambiati noi, non sempre in meglio.
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