martedì 10 settembre 2019

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Non è un caso che Abu Mohammed Al Joulani, nel giorno dell'anniversario della strage che decimò i vertici di Ahrar al Sham, sia tornato a farsi sentire attraverso il leak di una riunione con il Consiglio di Hayat Tahrir e il governo di salvezza nazionale.
Nel suo discorso si sarebbe soffermato sul forte radicamento del gruppo sul territorio attraverso le attività di vario tipo (culturale, economico, religioso) sviluppate dalle amministrazioni locali e che costituiscono una sfida nei confronti del regime.
Avrebbe anche posto l'accento sulla solidità delle alleanze costruite con altre fazioni.
Agli occhi dei governi occidentali Ahrar al Sham rappresentava il gruppo jihadista ideale.
Quello con il quale si poteva discutere il futuro della Siria poiché, pur avendo assunto un'ideologia di stampo salafita, era aperto alla cosiddetta democrazia occidentale e al secolarismo.
Qatar, Stati Uniti e Turchia per diverso tempo ne hanno osservato e curato le potenzialità.
Proprio queste sue aperture però, ne hanno determinato l'autodistruzione.
Se un gruppo non è compatto sulla linea ideologica anche in fase di evoluzione, difficilmente può vincere la guerra sul campo. L'attentato del 2014 ha solo accelerato il processo di sfaldamento che ne è seguito.
Il comandante di Hayat Tahrir, che sarebbe in trattative con alcuni governi per ottenere migliore sostegno, negli ultimi tempi si è avvicinato al modello costituito da Ahrar Al Sham. Gruppo con il quale ha avuto un rapporto molto conflittuale sin dall'epoca dell'alleanza militare con Nusra.
E del quale ha già in parte raccolto l'eredità dal momento che molti elementi, Abu Jaber fu il primo comandante di Hayat Tahrir, si unirono a lui dopo lo scioglimento di Fateh Al Sham.
La ricerca del rapporto con gli Stati Uniti passa anche attraverso le distanze prese dalla Turchia. L'equilibrio con Putin però, dipende da altre varianti.

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