Oggi pomeriggio Shaykh Abu Mohammad Al Maqdisi era furioso allo stesso modo in cui lo era nell’Ottobre del 2014 quando, nonostante fosse stata informata delle sue attività dalla controparte americana, l’intelligence giordana lo arrestò.
E’ stato arrestato uno dei suoi fedelissimi, anche lui impegnato nelle trattative per la liberazione di Peter Kassig, poi fallite.
Saad Al Hunaiti è stato però messo in prigione dall’intelligence di Hayat Tahrir perché sospettato di essere l’architetto di uno dei più efferati delitti degli ultimi mesi che ha colpito il quartier generale del gruppo a Danaa.
Di lui si erano perse le tracce proprio nel 2014 quando, durante un periodo trascorso con Nusra come giudice della corte di Dar al Qada,
Al Hunaiti si rese responsabile di una serie di sentenze molto controverse.
In più cominciò a dare battaglia per avere un apparato giudiziario indipendente.
Indipendenza è uno di quei vocaboli che mancano dal repertorio di Abu Mohammed Al Julani. A meno che uno non intenda essere indipendente sotto la sua supervisione. E infatti lo cacciò.
Al Hunaiti allora emigrò in quel di Daesh.
La ragione per cui era sceso in Siria nella primavera del 2014 era la mediazione per risolvere la disputa tra Isis e Nusra.
Abu Mohammed Al Maqdisi vedeva in Daesh un ostacolo per mantenere il controllo della scena salafita in Giordania.
Cosa che gli riesce molto bene invece con Al Zawahiri. Al Baghdadi e Al Zarqawi erano piuttosto un’incognita con la quale non riusciva a fissare un rapporto stabile o almeno alla pari.
Per questo motivo aveva accettato di fare da mediatore per la liberazione di Peter Kassig. Usare i buoni rapporti con Binali e Hunaiti per orientare l’ideologia del gruppo, e di certo una liberazione in quel contesto avrebbe fatto da game changer, non poteva che favorirlo a casa propria e in Siria. Gli scenari che da sempre lo vedono protagonista.
Nessuno seppe spiegare cosa andò storto con l’intelligence giordana.
Probabilmente nell’eterna partita del bastone e della carota che si gioca da quelle parti per limitare le velleità dei salafiti, qualcuno ci aveva ripensato. O forse i federali avevano puntato sull’interlocutore sbagliato.
Ed è proprio giocando a quel gioco che Al Hunaiti era salito agli onori delle cronache che lo annoverano, seppure come figura di secondo piano, nei circoli di Al Maqdisi il quale ha emesso un duro comunicato dopo aver appreso dell’arresto. Ma più per aizzare gli animi contro i vertici di Hayat Tahrir che per difenderlo.
I due si sono conosciuti nel corso di uno dei tanti soggiorni in prigione. Hunaiti era uno di quelli che dava molto fastidio per la presenza costante alle manifestazioni in favore della legge della Sharia in Giordania e alle trattative con la polizia per il rilascio dei prigionieri.
Pare che avesse sviluppato questo fervore salafita di ritorno da un periodo di studi universitari in Ucraina nel 2004.
Non ha mai mostrato velleità da jihadista, ma l’occasione si presentò all’ennesima uscita di prigione quando Shaykh Al Maqdisi tentò di mettere un suo sigillo sulla pace tra Isis e Nusra.
Scomparve all’improvviso dopo essersi unito a Daesh.
Si è fatto risentire qualche settimana fa, con una lunga lettera nella quale ne denunciava i metodi brutali annunciando il suo abbandono. Il messaggio era incentrato in particolare sullo scenario iracheno dominato a suo parere da alcuni elementi tribali locali che terrebbero in scacco tutti gli altri causando divisioni e malumori.
In molti si sono interrogati circa questo suo strano ritorno pubblico, temendo che volesse mettersi alla guida di un altro esercito o andare a irrobustire le fila di Hurras adDeen dando corpo così ai piani siriani di Al Zawahiri.
L’arresto da parte di Hayat Tahrir, che presumibilimente se ne servirà per intavolare trattative con entità straniere e nel frattempo ha usato l’arresto per ribadire la propria imparzialità anche nei confronti di vecchi elementi, ne ha per il momento bloccato i piani.


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