Qual è il limite secondo te tra un virtuoso assemblaggio e una vera e propria cucina?
La cultura dello chef. Se lo chef cerca di raccontare qualcosa o di trasmettere emozioni con un piatto ed ha una cultura solida (vale a dire, conosce la tradizione, ha vere basi tecniche, ha girato e provato tante tavole di colleghi) si è tendenzialmente di fronte a “vera cucina”. Se invece lo chef vuole stupire il suo pubblico e si diverte a “vissaneggiare” senza il genio di Gianfranco Vissani, mettendo insieme caffè burrata ricci di mare e fegato di maiale nella rete, siamo di fronte a un povero illusionista da strapazzo.
Che cosa condizionerebbe negativamente il tuo parere mentre analizzi un ristorante?
Tante cose. Servizio disattento (ma anche quello invadente non è che sia meglio); rumore (compresa la musica petulante); odori dalla cucina (quelli che in inverno ti condiscono un cappotto, e i vestiti, tanto per intenderci); igiene precaria (esposizioni sospettabili di antipasti, stoviglie, bicchieri, bagni); dettagli pretenziosi non confermati nella sostanza (ad esempio la scelta di extravergini di varie regioni, che oggi fa tanto trendy, ma scaduti); ricarichi irritanti nella carta dei vini; tempi troppo lunghi (la cucina non può essere un’opera wagneriana).
Tre qualità essenziali per diventare un “top-ristorante”.
Emozionare con la cucina (cioè avere un cuoco che abbia qualcosa da dire) lavorare sui dettagli di contorno, mantenendo però la misura; avere una sala non inferiore alla cucina. La quarta qualità è una cantina pensata.Aromaweb 2007
Emiliano Fittipaldi è uno di quei giornalisti che attinge molto dalle vicende che coinvolgono i servizi segreti senza però conoscerne il funzionamento e i meccanismi.
C'è molto dell'essenza del mestiere di 007 nel modo in cui Scotto di Castelbianco interpreta il suo ruolo di critico culinario.
Per il resto mi limito a osservare che De Caprio e i suoi, ai quali francamente non riesco a riconoscere particolari doti investigative se si considerano i verdetti giudiziari relativi alle inchieste condotte nel loro complesso, sono stati addirittura premiati con l'ingresso nei servizi per lo stesso motivo per il quale nelle forze dell'ordine si fa carriera anche dopo avere scontato una condanna. In Italia non c'è la cultura dell'etica come elemento fondante della funzione svolta.
Si fanno valutazioni a seconda delle esigenze.
E si preferisce fare proliferare fenomeni da social piuttosto che coltivare eroi veri.
Negli Stati Uniti un servitore dello stato non rifiuterebbe mai una onorificenza concessa dal presidente. E se lo facesse verrebbe messo giustamente alla porta.
Il generale Manenti a mio parere si è dovuto accollare un fardello per una serie di obblighi e circostanze che di solito s'incrociano in periodi controversi attraversati da una nazione.
Del servizio che il direttore ha reso al Paese, rimarrà ben altro.
Si tratta però di cose che non fanno vendere i giornali.
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