venerdì 29 dicembre 2017

Gli avevano detto

Il papà di Meriem: «Non farà mai del male all’Italia»Ci avevano detto che avevano capito che era stata plagiata, che era una vittima, e che bisognava salvarla. Quattro anni sono troppi: significa volere mandare via tutta la nostra famiglia dall’Italia, distruggendo tutto quello che abbiamo costruito e fatto. Non so cosa le sia successo ma se fosse ancora viva dobbiamo cercare di salvare questa ragazza e salvare tutta la sua famiglia. La nostra famiglia in Italia è cresciuta solo per fare del bene. Se finisse in carcere come potrebbe la mamma andare avanti, come potrei io continuare a lavorare. Se ritornasse bisognerebbe invece fare di tutto per farle dimenticare le bombe. Tutti sbagliano. Meriem ha sbagliato ma bisognerebbe capire cosa le è successo veramente. Quando ci siamo sentiti lei piangeva, diceva di odiare quelle persone e che mai avrebbe fatto del male. Se fosse veramente ancora viva non potrei vederla finire in carcere perché lei è solo una vittima. Mi hanno sempre detto di non cercarmi degli avvocati ma se lei tornasse dovrò cercare di difenderla».mattinopadova

A metà Agosto Sheikh Al Dughaim, vicino al Free Syrian Army e fiero oppositore sia del regime che dei gruppi jihadisti, dopo un paio d'anni di esilio in Turchia dovuto alle minacce di morte ricevute da Nusra, ha varcato le soglie di Idlib grazie ad un invito del nemico di sempre.
Sheikh Al Julani ha voluto incontrarlo per discutere di una strategia comune tesa a rafforzare l'impianto civile sul territorio e a combattere sia il regime che gli estremismi ai quali vanno soggetti soprattutto i giovani mujahedeen.
Non si è giunti ad un accordo ma Sheikh Al Dughaim si è detto convinto delle buone intenzioni del comandante di Hayat Tahrir e della necessità di allontanare le ramificazioni di Al Qaeda e Daesh dall'area. Rimasto ad Idlib, ha fondato un centro anti-radicalizzazione.
Nelle prime foto fatte circolare in rete, veniva mostrato un gruppetto di affiliati a Daesh semi vestiti e sbarbati di fresco.

La riabilitazione di Meriem dovrebbe essere portata avanti in quel modo.
Con lo stesso vigore con il quale lei ha abbracciato la causa del califfato.
Stiamo parlando di una ragazzina che, come tanti coetanei dediti a cyberbullismo, stalking sexting, e per i quali in sede di giudizio dovrebbero essere concesse attenuanti perché psicologicamente fragili e facilmente soggetti a grooming, è andata nel califfato per combattere il dittatore dopo aver maturato i suoi propositi tramite internet. Lo ha fatto però, essendo intenzionata a servirsi di mezzi come il taglio della testa.
Una ragazzina fortemente traumatizzata, ma alla quale vanno fatte comprendere la gravità e le conseguenze del suo gesto. Altrimenti i passi successivi della riabilitazione non saranno efficaci. Un abbraccio non è sufficiente allo scopo.
Anche se fosse italiana, avendo quindi la possibilità di rimanere dopo aver scontato la pena, nel nostro Paese non troverebbe strutture e personale adeguato per assolvere al compito. Si è tanto parlato di prevenzione e radicalizzazione ma non si è concluso granché. Molta propaganda, niente fatti. Forse in Marocco Meriem e la sua famiglia troverebbero migliore conforto.
Un abbraccio vero e sincero.

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